Tre storie sul Monopoli
Oggi compie 80 anni, la sua nascita ha a che fare con la crisi economica, i quaccheri e una montagna di aneddoti che probabilmente non conoscete
Ottant’anni fa oggi, il 7 marzo 1933, un meccanico di automobili di Philadelphia costruì a casa sua il prototipo di un gioco che di lì a poco sarebbe apparso nei negozi con un nome destinato a diventare famoso: Monopoly. Monopoli, come è chiamato in Italia, è uno dei giochi registrati di maggior successo del mondo: ne sono state fatte decine di versioni, sia adattate per i diversi paesi, sia “speciali”, dedicate un po’ a qualsiasi cosa, dai Simpson alla Ferrari. Il marchio è oggi di proprietà della Hasbro.
In realtà l’idea di Darrow non era nata dal nulla: prima del suo “prototipo”, costruito nel mezzo della Grande Depressione, ne erano nati predecessori e parenti più o meno lontani. Per quanto possa suonare strano, oggi, uno in particolare era un gioco nato qualche anno prima per propagandare il fatto – innaturale, scandaloso – che, possedendo dei terreni, si potesse vivere di rendita.
Qualche decennio dopo un’altra versione che provava a capovolgerne i presupposti “ideologici”, per così dire, chiamata Anti-Monopoly, è stata al centro di una causa legale durata decenni con un professore californiano di economia, Ralph Anspach, che ne ha messo in dubbio la storia “ufficiale”. Già, la storia: quella del Monopoli è così complicata e interessante che se ne possono scrivere almeno tre.
La prima storia del Monopoli
Nel 1933 un meccanico disoccupato di Philadelphia di nome Charles Brace Darrow creò il primo set del Monopoli usando materiali che aveva in casa: costruì il tabellone del gioco con un pezzo della tela cerata che copriva un tavolo, le case e gli hotel con pezzi di legno presi da una cornice e le pedine con i ciondoli di un braccialetto di sua moglie. Nella sua versione – come in quella attuale, con pochi adattamenti – i nomi delle strade erano quelli di Atlantic City, la città dove passava le vacanze da bambino.
Darrow portò il suo prototipo alla Parker Brothers, una casa produttrice di puzzle e di giochi da tavolo che, come molte altre, stava combattendo contro gli effetti della Grande Depressione: inizialmente la sua proposta venne rifiutata con una lista di 54 “errori fondamentali” del gioco, tra cui la sua difficoltà e la lunghezza delle partite.
Darrow registrò comunque il prototipo e cominciò a promuoverlo da solo nei negozi di Philadelphia. Il gioco ebbe molto successo e, pochi mesi dopo il rifiuto iniziale, Parker Brothers ricontattò Darrow e comprò i diritti per venderlo negli Stati Uniti. Le prime scatole del nuovo gioco, vendute a 2 dollari l’una, apparvero nel 1935; nonostante la crisi economica entro circa un anno la casa produttrice faticò a star dietro alle ordinazioni: produceva circa 20 mila set di gioco la settimana, 2 milioni nei primi due anni.
La prima edizione estera fu quella inglese: per l’occasione le vie vennero ribattezzate con i nomi di celebri strade di Londra, una pratica che è rimasta da allora ogni volta che il gioco viene introdotto in un nuovo paese. Oggi, dopo diversi passaggi di proprietà, Parker Brothers – e il marchio Monopoli – appartiene alla multinazionale del giocattolo Hasbro, che l’ha comprata nel 1991.
Quaccheri e filosofi
Questo per quanto riguarda la storia ufficiale. Poi c’è un’altra storia, la cui protagonista è una donna che si chiama Elizabeth “Lizzie” Magie. Questa seconda versione dei fatti è diventata nota in gran parte grazie alla causa legale che, a partire dagli anni Settanta, il professor Anspach ebbe contro la Parker Brothers per difendere il suo “Anti-Monopoly”, che aveva cominciato a vendere autonomamente con discreto successo. Il gioco esiste ancora oggi e ha un obiettivo opposto all’originale: combattere il formarsi del monopolio di un solo giocatore.
La causa arrivò alla Corte Suprema ed ebbe momenti piuttosto bizzarri, come la distruzione, nel 1974, di 37 mila copie del gioco di Anspach che vennero sepolte con i bulldozer in una discarica del Minnesota. Alla fine, però, Anspach e la società si misero d’accordo e oggi Anti-Monopoly è venduto sotto licenza della Hasbro. Ma questa, in fondo, è un’altra storia e anche piuttosto complicata. Torniamo a Lizzie Magie.
Magie era un’attrice del Maryland, ardente sostenitrice delle teorie economiche di un filosofo e scrittore di Philadelphia di nome Henry George, che ebbe un momento di grande successo tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento (tra i suoi ammiratori ci furono Tolstoj e Mark Twain) e che si candidò anche – senza essere eletto – come sindaco di New York nel 1886. La sua opera più famosa, Progresso e povertà, era stata pubblicata sette anni prima.
La sua idea principale, come spiega un recente articolo di Harper’s Magazine sulla storia del Monopoli, riguardava il fatto che, a suo parere, nessuna singola persona poteva reclamare il diritto di possedere un terreno: o meglio, di vivere di rendita su di esso, dato che era la società che gli dava un valore. Di conseguenza, si poteva impostare una grande riforma della proprietà terriera – e in ultima analisi del capitalismo stesso – introducendo una tassa, la cosiddetta single tax, sui terreni e le risorse naturali.
Nel 1906, l’inventiva Lizzie Magie iniziò a distribuire un gioco chiamato “The Landlord’s Game” (“il gioco del proprietario”) per diffondere le idee di George. Il quadrato del gioco, come si può vedere qui, è molto simile a quello del futuro Monopoli, così come lo era il meccanismo di gioco: con la differenza che, in questa versione, i giocatori potevano sopravvivere tutti se decidevano di pagare una “tassa”, in accordo con le idee di George. Diversi esperti che si sono occupati della storia hanno convenuto che una versione del Landlord’s Game – semplificata dalla comunità quacchera di Atlantic City, dove aveva avuto un grande successo – venne mostrata da un amico a Darrow nei primi anni Trenta.
La storia italiana del Monopoli
Anche la storia italiana ha parecchio da dire. Nel 1935 Arnoldo Mondadori, uno dei più grandi editori italiani, ricevette dagli Stati Uniti la scatola di uno dei giochi da tavolo che allora erano più di moda nel paese, “Monopoly”. La mostrò ad alcuni traduttori della sua casa editrice, tra cui il 29enne Emilio Ceretti, dicendo che personalmente non era interessato a pubblicare giochi ma che avrebbe sostenuto una loro iniziativa.
Ceretti, che è morto nel 1988, è una figura notevole anche se quasi dimenticata: giornalista, critico cinematografico, amico di Indro Montanelli e grande amante della cultura americana, tradusse autori come Aldous Huxley e Sinclair Lewis per Mondadori, ma a questa carriera affiancò quella di imprenditore che iniziò a metà degli anni Trenta. Dopo il suggerimento di Mondadori, fondò allora con due colleghi (Walter Toscanini e Paolo Palestrino) l’Editrice Giochi, mettendo una quota di cinquemila lire a testa.
Il loro primo prodotto fu appunto il Monopoli (25 anni dopo avrebbero portato in Italia anche la Barbie, per ricordare solo uno dei loro altri grandi successi), che nella versione italiana dovette adattarsi alle leggi e alle imposizioni culturali del fascismo. Le parole inglesi o straniere non erano permesse, sotto lo stretto controllo del Ministero per la Cultura Popolare, e così il gioco venne italianizzato in “Monòpoli”, che in italiano non ricordava più il monopolio come nell’originale ma al massimo la città italiana in provincia di Bari. Per decenni, tra l’altro, la confezione continuò a indicare l’accento sulla seconda “O”. Dal 2009 anche la versione italiana si chiama “Monopoly”, con la y finale, come l’originale.
I nomi delle strade della prima edizione italiana erano nomi di strade di Milano (con l’eccezione dei primi e più economici terreni, Vicolo Corto e Vicolo Stretto, invenzioni di Cerretti) raggruppate per temi (le montagne, l’università, gli esploratori) e con qualche differenza rispetto ad oggi: il gruppo di terreni verdi erano rispettivamente “largo Littorio”, oggi “largo Augusto”, “via del Fascio”, l’attuale via Nirone a Milano, che nel gioco di oggi è diventata “via Roma”, e infine “corso Impero”, che è rimasto uguale, anche se è cambiato l’impero a cui ci si riferisce.
A causa di questi cambi di nome, quindi, nell’edizione italiana due gruppi di terreni (verdi e gialli) hanno nomi che si riferiscono agli imperatori romani. Nonostante le concessioni alla toponomastica fascista, pare che inizialmente le autorità non fossero troppo convinte da un gioco così “capitalista”, ma lo tollerarono visto anche il suo grande e immediato successo.
“Parco della Vittoria” (nella versione americana è Boardwalk) era il nome degli attuali giardini dedicati a Indro Montanelli, mentre “viale dei Giardini” era, molto semplicemente, la via di Milano dove viveva Ceretti all’epoca, pagando un affitto molto caro. Via dei Giardini esiste ancora oggi e presumibilmente si paga ancora un affitto piuttosto alto, dato che è una parallela di via Manzoni, vicino alla fermata della metropolitana di Montenapoleone.
Un’ultima curiosità: dopo la guerra, il valore della lira crollò rapidamente, ma Ceretti decise che le quotazioni delle strade sarebbero rimaste immutate (come atto di speranza nella ripresa economica, scrisse qualche anno dopo). E così Parco della Vittoria continuò a costare 40 mila lire, che negli anni Quaranta erano una bella cifra (diverse decine di migliaia di euro attuali, fatte tutte le dovute conversioni) ma già nei primi anni Sessanta acquistavano molto poco.
Foto: Justin Sullivan/Getty Images