Gli americani e le torture in Iraq
Una grossa inchiesta di Guardian e BBC racconta il ruolo di importanti politici e militari - Petraeus, Rumsfeld - nella gestione dei centri segreti in Iraq
Un’inchiesta del Guardian e della BBC araba racconta importanti dettagli sul presunto coinvolgimento di alti funzionari civili e militari statunitensi nell’utilizzo della tortura in Iraq come tecnica di interrogatorio. Per la prima volta ci sarebbero prove che alcuni importanti consiglieri americani avrebbero fatto da “canale di collegamento” tra chi concretamente conduceva gli interrogatori e chi, politici e militari di alto livello, si occupava di decidere la strategia americana in Iraq dopo l’invasione del 2003 che portò alla caduta di Saddam Hussein.
L’inchiesta
L’inchiesta è durata 15 mesi, ed è iniziata dopo la pubblicazione sul sito di Wikileaks di alcuni documenti militari americani che documentavano centinaia di casi di tortura ai danni di ribelli iracheni, concentrati in diversi centri detentivi sparsi per tutto il paese e gestiti insieme da americani e iracheni. Il Guardian ha pubblicato oggi il video dell’inchiesta, “James Steele: America’s mystery man in Iraq”. Di seguito un trailer da cinque minuti.
Tra i vari personaggi coinvolti ci sarebbero anche due nomi molto conosciuti: il primo è quello del generale David Petraeus, che nel 2003 venne incaricato di ricostruire le nuove forze armate irachene (più recentemente Petraeus si è dimesso da capo della CIA dopo uno scandalo sessuale). Il secondo è quello del Donald Rumsfeld, allora ministro della Difesa dell’amministrazione repubblicana di George W. Bush. A partire dal 2003 Petraeus e Rumsfeld sarebbero stati costantemente aggiornati da due consiglieri, i colonnelli James Steele e James H. Coffman, sull’organizzazione e le procedure dei centri segreti di detenzione e tortura in Iraq.
Cosa c’entrano le “guerre sporche” dell’America centrale
La ricostruzione del Guardian e della BBC araba è piuttosto complessa, ed è utile raccontare la storia dall’inizio. Dopo la destituzione di Saddam Hussein, l’Iraq si ritrovò nel caos perché, insieme al presidente, abbandonarono le loro posizioni di potere molti dei vertici politici e militari del regime iracheno. Una delle priorità dell’amministrazione Bush fu ricostruire l’apparato di sicurezza del paese, che era stato praticamente azzerato dall’intervento militare americano. Gli iracheni avrebbero dovuto aiutare gli americani nella strategia della cosiddetta counterinsurgency, elaborata per contrastare la guerriglia sunnita irachena che ancora resisteva.
Secondo l’inchiesta, il Pentagono decise allora di inviare in Iraq un veterano delle cosiddette “guerre sporche” dell’America Centrale, il colonnello James Steele. Durante gli anni Ottanta, scrivono sempre i giornalisti, Steele era stato messo a capo di una squadra di consiglieri militari speciali inviati a El Salvador per addestrare alcune unità paramilitari salvadoregne sui metodi di counterinsurgency. In quegli anni gli Stati Uniti appoggiavano la giunta militare che governava El Salvador, che era andata al potere dopo una serie di colpi di Stato. Le unità addestrate dagli americani dovevano contrastare gli oppositori del regime: diversi documenti successivi mostrarono che questi squadroni salvadoregni si resero responsabili di ripetute violazioni dei diritti umani.
Come funzionavano i centri segreti di detenzione e tortura
L’esperienza maturata da Steele in El Salvador convinse l’amministrazione americana a riproporlo per un incarico simile in Iraq, secondo Guardian e BBC. Steele venne incaricato di supervisionare le unità speciali irachene che si dovevano occupare di creare e gestire alcuni centri di detenzione e tortura. Steele ricevette l’incarico direttamente da Donald Rumsfeld e venne affiancato da un altro colonnello, James Coffman, che riferiva direttamente al generale Petraeus: Coffman, durante un’intervista alla rivista militare americana Stars and Stripes, descrisse se stesso come “gli occhi e le orecchie sul campo iracheno” di Petraeus.
Il generale iracheno Muntadher al-Samari, che lavorò con Steele e Coffman nelle fasi iniziali di supervisione delle unità speciali, ha raccontato al Guardian qualche dettaglio in più su come avrebbe dovuto funzionare il sistema di interrogatori nei centri detentivi americani in Iraq: «Ogni singolo centro detentivo avrebbe avuto il suo proprio comitato che si sarebbe occupato degli interrogatori. Ogni comitato sarebbe stato formato da un ufficiale dei servizi segreti e da otto persone incaricate di condurre gli interrogatori. Verranno usati tutti i mezzi di tortura necessari per far sì che il detenuto confessi, come l’utilizzo dell’elettricità, o appendendo l’interrogato a testa in giù, o usando le unghie per infierire sulle parti del corpo più sensibili».
Secondo Samari la tortura era routine nei centri detentivi: «Mi ricordo di un ragazzo quattordicenne che venne legato a una colonna di una biblioteca. Era legato mani e piedi in modo che le gambe fossero sopra la sua testa. Legato. Tutto il suo corpo era blu a causa dell’impatto con alcuni cavi con cui era stato colpito». La stessa biblioteca, che si trovava a Samarra ed era stata trasformata in un centro detentivo dagli americani, venne visitata da Gilles Peress, fotografo che lavorava per il New York Times e che stava seguendo Steele per un reportage. «Eravamo in una stanza della biblioteca per intervistare Steele e guardandomi intorno vedevo sangue dappertutto», ha raccontato Peress, aggiungendo di aver sentito anche delle “urla terribili” di qualcuno che gridava “Allah, Allah, Allah!”.
Le torture trasmesse in televisione
L’inchiesta rivela un altro dettaglio piuttosto incredibile dell’intera vicenda. Secondo il Guardian, gli americani avrebbero comprato delle videocamere per filmare le torture nei campi di detenzione; le immagini sarebbero poi state trasmesse da un programma della televisione irachena, che si chiamava “Terrorismo nelle mani della giustizia”. Insomma, le torture praticate da queste unità speciali sarebbero state note agli iracheni da molto tempo. Samari ha raccontato al Guardian di essersi trovato a casa del generale Adnan Thabit quando questo ricevette una telefonata dall’ufficio di Petraeus, in cui si chiedeva di sospendere la messa in onda del programma (non si citava invece la sospensione delle torture). L’autore della telefonata era il traduttore di Petraeus, Sadi Othman, che ha ammesso al Guardian di avere avuto quella conversazione con Thabit.
Secondo il Guardian e la BBC araba, dopo che Petraeus e Steele lasciarono l’Iraq la situazione peggiorò ancora di più. I due americani lasciarono nelle mani del governo iracheno dei gruppi paramilitari addestrati e ben armati. Nel settembre 2005 venne nominato il nuovo ministro degli Interni iracheno, Jabr al-Solagh, che era sospettato di essere molto vicino alle posizioni di una delle fazioni più violente della guerriglia irachena, le brigate Badr. Con al-Solagh le unità speciali si trasformarono progressivamente in una specie di squadre della morte.
Steele si è rifiutato di rispondere alle domande del Guardian e della BBC araba sul suo ruolo sia in El Salvador che in Iraq. In passato comunque aveva negato qualsiasi coinvolgimento in operazioni che utilizzassero la tortura come metodo di interrogatorio, e si era espresso “contro la violazione dei diritti umani”. Anche Coffman non ha voluto commentare. Un portavoce di Petraeus ha riferito invece che l’ex generale «era al corrente dei sospetti a carico delle forze speciali irachene, ma ha sempre condiviso con i vertici ogni informazione».
foto: (Wathiq Khuzaie/Getty Images)