Anche Israele è senza governo
Dopo più di un mese dalle elezioni Netanyahu non ha ancora formato una coalizione; se non ce la fa entro 15 giorni, si torna a votare
Dopo più di un mese dalle elezioni politiche israeliane del 22 gennaio, Benjamin Netanyahu, leader della coalizione di centrodestra che ha ottenuto una maggioranza molto risicata dei seggi nella Knesset (il parlamento unicamerale israeliano), non è ancora riuscito a formare un governo. Il presidente israeliano, Shimon Peres, ha concesso a Netanyahu altri 15 giorni per provare a formare il governo, oltre ai 30 già passati e previsti dalla legge.
Netanyahu ha accusato della mancanza dell’accordo il moderato Yair Lapid, leader del partito di centrosinistra Yesh Atid, che aveva ottenuto più seggi in assoluto alle elezioni (19). Dopo il voto del 22 gennaio l’ipotesi più probabile sembrava essere proprio un’alleanza tra la coalizione di centrodestra, che era uscita molto indebolita dal voto, e lo Yesh Atid di Lapid. Le cose però stanno andando diversamente.
Il disaccordo tra Netanyahu e Lapid riguarda soprattutto alcune questioni sociali: una delle più importanti è la richiesta di Lapid di eliminare alcuni vantaggi che vengono oggi concessi agli ebrei ortodossi, come la possibilità per alcuni di non sottoporsi al servizio militare obbligatorio. Modificare i privilegi degli ebrei ortodossi è molto difficile in Israele, visto che i partiti che li rappresentano sono quasi sempre stati nelle coalizioni di governo.
Come se non bastasse, Lapid ha stretto nelle ultime settimane una forte alleanza con l’altro uomo nuovo uscito dalle elezioni: Naftali Bennet, leader del partito di centrodestra HaBayit HaYehudi (“la casa ebraica”), che aveva ottenuto 12 seggi e che doveva essere stabilmente all’interno della coalizione di governo di Netanyahu (almeno così Bennet aveva dichiarato in campagna elettorale). Sia Lapid che Bennet rappresentano una nuova generazione di politici israeliani ed entrambi avevano promesso in campagna elettorale “un nuovo modo di fare politica”. Entrambi, inoltre, sembra che abbiano rifiutato alcune offerte di ministeri e altre posizioni di potere fatte da Netanyahu in cambio di un appoggio per formare il nuovo governo.
La situazione di stallo in Israele si deve attribuire, almeno in parte, al sistema elettorale, che è un proporzionale puro in un’unica circoscrizione che comprende tutto il paese. La soglia per entrare in parlamento è molto bassa (il 2 per cento) e favorisce la presenza di molti partiti (alle ultime elezioni sono entrati alla Knesset ben 12 partiti). Per questa ragione tutti i governi di Israele sono governi di coalizione e nessun partito ha mai raggiunto la maggioranza assoluta dei seggi. Il “quasi pareggio” delle due coalizioni nelle ultime elezioni aveva confermato questo specie di “consuetudine” israeliana.
La soluzione che si sta esaminando in questi giorni è un’alleanza di governo tra la coalizione di Netanyahu, in cui dovrebbe entrare anche il partito di Bennet, e il Yesh Atid, ma solo a condizione che gli ultra ortodossi, rappresentati dal partito Shah (11 seggi), rimangano fuori. Ad oggi gli unici partiti che hanno dichiarato di voler far parte della coalizione guidata da Netanyahu sono Israel Beiteinu (“Israele, la nostra casa”), dell’ex ministro degli Esteri Avigdor Lieberman, e Hatnuah (“il movimento”), di Tzipi Livni, ex leader del partito centrista Kadima. Nel caso invece in cui si arrivasse il 16 marzo senza un governo, l’unica alternativa è che si vada a nuove elezioni.
Foto: Benjamin Netanyahu (Ronen Zvulun – Pool/Getty Images)