Lunedì si vota in Kenya
Le foto e le cose fondamentali da sapere di un'elezione molto importante e delicata, dopo quella del 2007 che provocò centinaia di morti e grandi violenze
Oggi 14 milioni di keniani andranno a votare per eleggere il nuovo presidente, che prenderà il posto di Mwai Kibaki. Alcuni osservatori sostengono che queste elezioni saranno le più importanti della storia del Kenya, perché si svolgeranno secondo le regole stabilite dalla nuova Costituzione approvata con un referendum nell’agosto 2010. Grazie a una serie di modifiche istituzionali introdotte sempre nel 2010, i keniani dovranno eleggere anche 47 governatori, 47 senatori, 47 rappresentanti donne, 290 membri del parlamento e 1.450 rappresentanti di contea. Nel caso in cui uno dei candidati alla presidenza del Kenya non raggiunga la maggioranza assoluta delle preferenze, si tornerà a votare per il ballottaggio, probabilmente l’11 di aprile.
Le autorità del Kenya stanno cercando di evitare il ripetersi delle violenze post-elettorali del 2007, quando circa 1200 persone vennero uccise durante gli scontri etnici che seguirono le contestazioni dei risultati definitivi. Quasi 100.000 agenti di polizia stanno sorvegliando i circa 33.000 seggi elettorali adibiti in tutto il paese, e 23.000 osservatori, di cui 2.600 stranieri, stanno monitorando la regolarità del voto. Tuttavia, almeno 13 persone sono state uccise durante alcuni attacchi coordinati dei secessionisti del Mombasa Republican Council nella zona costiera del paese, vicino a Mombasa.
I candidati
I risultati più attesi dalle elezioni di oggi sono quelli che eleggono il nuovo presidente del Kenya. I candidati sono otto: Martha Karua della Coalizione dell’alleanza nazionale arcobaleno (NARC); Peter Kenneth dell’Alleanza dell’Aquila; James Ole Kiyapi del “Restore and Build Kenya Party”; Uhuru Kenyatta, figlio del “padre fondatore” del Kenya, alla guida dell’Alleanza del Giubileo e attuale vice primo ministro; Musalia Mudavadi; Raila Odinga della Coalizione per le riforme e lo sviluppo e attuale primo ministro; Muhamed Abduba Dida, ex insegnante e senza esperienza politica; Paul Muite, avvocato e veterano dell’opposizione attualmente al governo.
La vera sfida, secondo gli osservatori, sarà quella tra Uhuru Kenyatta e Raila Odinga. I due, oltre a essere grandi avversari politici, sono anche membri di due tribù diverse: Kenyatta fa parte della tribù dominante in Kenya, i Kikuyu, mentre Odinga appartiene alla tribù Luo, che non ha mai ottenuto fino ad ora una rappresentanza a livello presidenziale.
Gli scandali in campagna elettorale
Per il momento pare che il voto si stia svolgendo in tranquillità, ma negli ultimi giorni la situazione è stata piuttosto tesa. Venerdì 1 marzo è stato diffuso dalla Commissione per i Diritti Umani del Kenya un video che ritraeva due candidati governatori mentre cercavano di comprare dei voti da due gruppi di giovani: il primo, Ferdinand Waititu, del partito di Kenyatta, è stato ripreso il 6 febbraio a Donholm, un sobborgo di Nairobi; il secondo, James Ongware, della coalizione di Odinga, è stato ripreso a Kisii, nel sud-ovest del paese. Alla diffusione del video erano seguite molte polemiche e accuse reciproche di irregolarità tra i vari candidati.
I due storici dibattiti televisivi
Il tema più importante e più sentito di queste elezioni presidenziali è stata la questione etnica, che si è affrontata durante il primo dei due storici dibattiti televisivi, i primi di questo tipo nella storia del paese, in cui si sono confrontati alcuni dei candidati alla carica di presidente. I confronti sono stati trasmessi l’11 e il 24 febbraio da otto canali televisivi e 34 stazioni radio a copertura nazionale, oltre che dalla BBC, dalla CNN e da Al Jazeera e sul canale ufficiale delle elezioni su Youtube. Lo studio è stato allestito in una scuola privata nei pressi del Parco nazionale di Nairobi e i dibattiti sono stati diretti da Julie Gichuru, presentatrice di Whereas Citizen TV, e Linus Kaikai, capo di NTV’s.
I temi dei due confronti sono stati l’istruzione, la corruzione, la salute, l’economia, la gestione dei terreni e la politica estera. Sulla questione etnica sia Odinga che Kenyatta hanno parlato di “malattia” per il paese. Durante il primo dibattito lo scontro più significativo si è avuto però su un altro tema che ha dominato la campagna elettorale: che cosa accadrebbe se Kenyatta, accusato di crimini contro l’umanità dalla Corte Penale Internazionale dell’Aia per le violenze del 2008, venisse eletto presidente. Diversi paesi, tra cui Regno Unito e Francia, hanno lasciato intendere che potrebbero non riconoscere un governo il cui presidente è Kenyatta. Il capo degli affari africani per il dipatimento di Stato americano, Johnnie Carson, ha detto che i keniani dovrebbero far attenzione a chi eleggono, avvertendo che le scelte hanno conseguenze e riferendosi alle centinaia di milioni di dollari di aiuto allo sviluppo su cui l’economia del Kenya continua a contare.
Il precedente delle elezioni del 2007
I risultati delle ultime elezioni presidenziali, che si tennero nel 2007, furono contestati da Raila Odinga, del Movimento Democratico Arancione, che accusò di brogli l’attuale presidente Mwai Kibaki. Le polemiche tra i due candidati causarono scontri e violenze nel paese, con 1200 morti e circa 600.000 sfollati. Alla fine fu raggiunto un accordo tra il presidente Kibaki e Odinga, il quale diventò primo ministro e nominò la metà dei ministri. La Corte Penale Internazionale dell’Aia incriminò 6 persone per gli scontri del 2008, tra cui Uhuru Kenyatta e il suo vice William Ruto.
Il ricordo delle terribili violenze del 2007-2008 è rimasto nella mente di molti kenyani. Le donne furono tra i gruppi sociali più colpiti: secondo quanto riportato dalle Nazioni Unite, durante le fasi post-elettorali i casi di violenza sessuale contro le donne raddoppiarono. Una di loro ha raccontato alla BBC che oggi lascerà la sua casa di Nairobi, per la paura che quelle violenze possano ripetersi.
Gli scontri del 2007-2008 furono la ragione principale che spinse il governo e il parlamento del Kenya ad approvare la nuova Costituzione nel 2010, che istituì la creazione di nuovi posti di governo nelle zone rurali del paese, aumentando di fatto il decentramento del potere. Tra le novità introdotte ci fu anche il nuovo sistema di “voto biometrico“, che dovrebbe evitare i brogli del 2007 con il riconoscimento obbligatorio sia delle impronte digitali che delle caratteristiche del viso di ciascun elettore.