La storia di Ciro Moccia, morto ieri qui
E degli altri come lui - tre in quattro mesi - e di quelli che finora se la sono cavata, a Taranto: la racconta Adriano Sofri su Repubblica
Giovedì all’acciaieria Ilva di Taranto – al centro di molte controversie da anni per l’inquinamento che genera in città, ma anche per la sicurezza degli operai che ci lavorano – è morto un altro operaio precipitando da una passerella. Aveva 42 anni, si chiamava Ciro Moccia, in prima pagina su Repubblica ne scrive Adriano Sofri.
Ci sono due operai. Ciro Moccia è un dipendente dell’Ilva, 42 anni, manutenzione meccanica. Antonio Liddi, 46 anni, è dipendente della ditta Mir.
Moccia, dirà il direttore dello stabilimento tarantino in un comunicato di condoglianze, è “lavoratore modello… sempre disponibile”. Ambedue disponibili a salire, alle 4 e mezzo di notte, sul ponte che sovrasta le batterie della cokeria: vi corrono i binari della macchina caricatrice che va su e giù ai forni. Sulla batteria 9, ferma per i primi lavori di messa a norma, una rotaia ha un rialzo che intralcia la corsa, i due devono ripararla. Lavorano a cielo aperto, fra i binari c’è una passerella assicurata, ai lati invece sono state posate alla meglio delle lamiere, solo per impedire che cadano materiali sugli operai che lavorano sotto. La lamiera cede e i due precipitano: Liddi è sopravvissuto solo perché è caduto addosso al compagno. In ospedale, le sue sorelle raccontano che anni fa avevano perduto un altro fratello precipitato da un ponteggio. Moccia, un omone cordiale di origine napoletana e di famiglia tarantina di “Paolo VI”, il quartiere che prese il nome dalla visita del Papa, ha moglie, che lavora alla mensa dell’Ilva, e due figlie adolescenti. Arrivano alle undici di mattina, tre generazioni di donne affrante, all’infermeria della fabbrica mutata in obitorio. Intanto i sindacati hanno dichiarato lo sciopero generale. Tanti operai vanno via in fretta con le facce scure, alcuni si fermano a discutere. Dicono cose dure. I capi che minacciano e fanno i prepotenti. I rapporti disciplinari che fioccano – per esempio al movimento ferroviario, dove da mesi si svolgono scioperi lunghi e compatti, contro l’obbligo di manovrare da soli sui treni, a costo di non poter chiedere soccorso.
(continua a leggere sulla rassegna stampa del blog Diritti Globali)