Che cos’è il sequester
C'è una nuova «pistola puntata alla tempia» dei politici americani, dopo il fiscal cliff di poche settimane fa
di Davide Maria De Luca – @DM_Deluca
Il congresso americano deve trovare un accordo per mettere in atto degli enormi tagli di spesa entro il primo marzo. Se non ci riuscirà, scatteranno dei tagli lineari su un grosso numero di voci di spesa: niente di tragico o apocalittico come il famoso fiscal cliff, ma per i dipendenti che si vedranno diminuire l’orario di lavoro e per quelli che saranno prepensionati non è una prospettiva piacevole – e già qualcuno lo chiama sequester cliff. Questi tagli automatici hanno un nome che è tutto un programma: sequester, ovvero “sequestro”, e sono nati in seguito allo stesso evento che ha portato al fiscal cliff.
Come ci siamo arrivati
Gli Stati Uniti sono un paese dove la questione del debito pubblico è trattata molto seriamente. Fino al 1917 ogni nuovo prestito che il governo chiedeva doveva essere approvato dal Congresso. Dal 1917, per rendere le cose più semplici, si è deciso di mettere un tetto al debito pubblico: una soglia, oltre la quale il governo non poteva indebitarsi. Ma il debito pubblico ha la tendenza a crescere sempre, un po’ per l’inflazione, un po’ perché l’economia cresce di pari passo. Il tetto quindi è sempre stato alzato: dall’epoca del presidente Harry Truman (1945-1953) in poi.
Quando è toccato alzarlo ad Obama, negli anni della crisi economica, sono cominciati i problemi. Nel 2011 circa il 40% della spesa federale era finanziata da debito, il cui valore in percentuale al PIL era arrivato a poco meno del 100%, livelli che non toccava dalla Seconda Guerra Mondiale. Oltre all’innalzamento del tetto, quindi, bisognava anche studiare un piano di riduzione del debito. Le trattative tra Obama, il partito Democratico e quello Repubblicano continuarono per molto tempo e furono molto difficili. Se entro il 2 agosto del 2011 un accordo non fosse stato raggiunto, gli Stati Uniti avrebbero dovuto dichiarare bancarotta.
L’accordo venne raggiunto – era più o meno certo che sarebbe arrivato, bisognava solo vedere chi l’avrebbe spuntata tra repubblicani e democratici – e prese la forma del Budget Control Act of 2011. La parte di questa legge che ci interessa è quella che i media americani chiamano la «pistola puntata alla tempia». Funzionava così: visto che un accordo preciso su alcuni tagli e aumenti di tasse era impossibile da prendere in tempo, repubblicani e democratici si accordarono su alcuni tagli lineari e aumenti di imposte semplicemente mostruosi e inaccettabili, collocati però a qualche anno di distanza. Con questa “pistola” puntata alla tempia – che il Congresso, in un certo senso, si puntava da solo – i politici speravano di incentivare gli accordi futuri.
Una di queste pistole puntate era il fiscal cliff, che è stato evitato con una serie di aumenti di tasse e di riduzioni delle deduzioni stabiliti attraverso un accordo all’ultimo momento, all’inizio di gennaio. Ma l’accordo che salvò gli Stati Uniti dal “baratro fiscale” ha soltanto spinto un po’ in avanti l’altra questione che metteva sul piatto il Budget Control Act: cioè il taglio della spesa. La scadenza di questa nuova grana sta arrivando in questi giorni.
Che cos’è il sequester
Se entro il primo marzo il Congresso non approverà un programma di tagli da 1.200 miliardi, scatteranno una serie di tagli automatici e lineari alla spesa pubblica da 85 miliardi l’anno fino al 2021. Metà di questi tagli riguarderanno il Pentagono, cioè le spese per la difesa, l’altra metà riguarderà la spesa pubblica, con l’esclusione della spesa per i servizi sociali, i benefit per i veterani, i prestiti agli studenti e altri programmi.
Il problema principale di questi tagli è la loro linearità. Nella legge viene specificato con chiarezza cosa non si può fare: diminuire gli stipendi, toccare il welfare e tagliare certi progetti più di altri: la legge stabilisce che «la stessa percentuale di tagli dovrà essere applicata a tutti i programmi, i progetti e le attività». C’è poco spazio di manovra quindi, ma al contempo non è neanche chiaro che cosa si intenda con “programmi, progetti e attività”.
Se non si troverà un accordo, quello che probabilmente accadrà sarà una riduzione dei programmi di investimento del dipartimento della difesa, il prepensionamento di molti dipendenti pubblici e la diminuzione dell’orario di lavoro per altri – non si possono abbassare gli stipendi, ma è possibile diminuire l’orario di lavoro e quindi pagarli di meno.
Gli effetti, in particolare quelli dei tagli alla difesa, potrebbero portare alla perdita di 400 mila posti di lavoro nell’industria militare e un milione di posti di lavoro in totale, quando il programma di tagli automatici arriverà alla compimento nel 2021. Nel breve termine i tagli, che per quest’anno ammonterebbero a 44 miliardi di dollari, potrebbero già danneggiare la crescita economica del 2013.
Il caso precedente
L’ultimo sequester avvenne nel 1991. Barry Anderson, che era il capo dell’ufficio che si occupava della gestione dei tagli, ha raccontato al Washington Post il tipo di problema che all’epoca dovettero affrontare nel gestire i tagli lineari. Nel 1991 il sequester imponeva un taglio del 5% a ogni programma, progetto e attività di un certo numero di agenzie federali.
“Nella baia di Chesapeake ci sono boe luminose in mezzo agli scogli e alle rocce. Galleggiano nella baia e sono alte 3 metri. All’interno del Dipartimento per il Commercio c’è un programma di assistenza alla navigazione e all’interno di questo programma c’è un progetto per approvare ogni singola boa e alla fine arriviamo all’attività vera e propria, la boa. Il Congresso dice che non possiamo rimuovere le boe. Ho ricevuto una telefonata da uno del Dipartimento del Commercio: ‘La nostra attività sono queste boe, come faccio a tagliare il 5%?’, gli ho chiesto: ‘Fate qualcosa a queste boe?’. E lui mi ha risposto: ‘Due volte l’anno mandiamo qualcuno a raschiare via il guano degli uccelli’. Quindi gli ho risposto: ‘Raschiate il 5% del guano in meno’.
Questo episodio, abbastanza surreale, spiega perché è importante la mancanza di flessibilità del sequester. Secondo Anderson la Casa Bianca, sia nel 1991 che oggi, non ha cercato di rendere i tagli flessibili, come invece avrebbero voluto alcuni senatori repubblicani, proprio perché se fosse compito del governo decidere cosa e quanto tagliare, allora in un certo senso sarebbe molto più “responsabile” dei tagli. Se invece i tagli sono lineari, applicati a tutte le voci di spesa nella stessa maniera, allora la responsabilità cade molto di più sui quei senatori e deputati che non sono riusciti ad accordarsi per evitare i tagli.
Di chi è la colpa?
In questi giorni negli Stati Uniti si discute molto di chi sia la responsabilità per questo ennesimo cliff che il paese si trova davanti. Obama approvò l’idea di proporre il sequester ai repubblicani ancora prima che l’accordo venisse raggiunto. I repubblicani, se pur non favorevoli esplicitamente al sequester, spingevano comunque affinché ci fosse un qualche tipo di automatismo nei tagli. Questa settimana ha dichiarato che l’idea dietro il sequester era spingere democratici e repubblicani a trovare «un buon compromesso tra tagli alla spesa e l’eliminazione di alcune scappatoie fiscali».
In realtà, molti fanno osservare che il punto non è di chi è la paternità del sequester, ma il fatto che al momento i due partiti non riescono a trovare un accordo per evitarlo. Da un lato i repubblicani insistono per grossi tagli alla spesa pubblica, mentre i democratici – che al momento sono descritti anche da alcuni commentatori conservatori come più aperti al dialogo – chiedono un taglio a certe esenzioni fiscali di cui possono godere i più ricchi. Lo stesso Obama ha detto ieri di essere ottimista sul fatto che una soluzione possa ancora essere trovata.