Chi è John Brennan, nuovo capo CIA
Non si capisce se è un falco o una colomba ma è alleato di Obama dal suo primo mandato
La Situation Room è una stanza della Casa Bianca voluta da John F. Kennedy dopo il fallimento dell’operazione “Baia dei Porci” del 1961 e resa famosa da diversi film di spionaggio (tra cui Thirteen Days). Tutti i martedì Barack Obama incontra nella Situation Room John Brennan, capo dei consiglieri dell’antiterrorismo e tra circa una settimana nuovo capo della CIA. I “martedì del terrore” – secondo una fortunata definizione di David Axelrod, consigliere di Obama – sono incontri riservatissimi, durante i quali Brenann e un’altra ventina di persone sottopongono al presidente la lista di presunti terroristi che la CIA e le forze speciali all’estero intendono colpire.
A causa di questo incarico e della sua precedente esperienza come consigliere del presidente George W. Bush sulle questioni di intelligence, Brennan si è guadagnato dal sito Daily Beast la definizione di “uomo meno capito a Washington”. In molti non hanno ancora deciso se sia un falco, una colomba, un convinto liberale o un misto di tutto questo. L’apparente ambiguità delle sue posizioni su alcune questioni chiave della politica estera americana, come la lotta al terrorismo e la legittimità dei metodi di tortura, ha fatto sì che la sua nomina a nuovo direttore della CIA desse il via ad un ampio dibattito.
Chi è John Brennan
Brennan è figlio di immigrati irlandesi, ma è cresciuto in New Jersey. Durante i suoi studi in scienze politiche, Brennan frequentò per un anno l’American University al Cairo, esperienza che gli permise di imparare l’arabo. Decise poi di arruolarsi nella CIA, dove lavorò per 25 anni sia presso la base dell’agenzia a Langley sia in missioni all’estero. Alla CIA Brennan ricoprì incarichi importanti sia con l’amministrazione democratica di Bill Clinton che con quella repubblicana di George W. Bush. Nel 1996 venne nominato a capo della sezione della CIA che operava in Arabia Saudita, dove rimase fino al 1999. Questo periodo fu molto importante per Brennan, perché ebbe modo di conoscere meglio lo Yemen (che confina a nord con l’Arabia Saudita) dove applicò la sua successiva strategia della guerra al terrorismo internazionale.
L’incarico nell’amministrazione Obama
Obama e Brennan si incontrarono per la prima volta a Chicago nel 2008. Obama era appena stato eletto presidente e stava cercando di individuare qualcuno adatto a ricoprire il ruolo di nuovo direttore della CIA per dare il via a una specie di rivoluzione nella lotta al terrorismo internazionale: da lì a poco avrebbe inaugurato uno stato di guerra permanente, a distanza e a bassa intensità grazie all’utilizzo dei droni (gli aerei senza pilota). Durante l’incontro i due si trovarono d’accordo sulla necessità di usare un approccio “chirurgico” nei confronti del terrorismo. Secondo Brennan, per sconfiggere il terrorismo “devi attaccare le metastasi della malattia senza distruggere il tessuto circostante”.
Questa affinità di vedute non fu però sufficiente a portare Brennan a capo della CIA già nel 2008. I liberal americani si opposero alla nomina e accusarono Brennan di essere stato coinvolto nella pianificazione dei metodi di tortura praticati sotto la precedente amministrazione Bush. Ai quei tempi Brennan era capo dello staff di George Tenet, direttore della CIA dal 1997 al 2004. Nel 2005 Brennan lasciò però il suo incarico e dichiarò pubblicamente la sua contrarietà alle tecniche di interrogatorio più dure (ad esempio associò il contestatissimo “waterboarding” alla tortura). Ma le sue dichiarazioni non furono sufficienti a far arretrare i suoi detrattori: Obama, che si trovò nelle condizioni di non poterlo nominare direttore, decise comunque di non privarsi delle sue competenze e della sua esperienza e lo fece capo dell’antiterrorismo e della sicurezza nazionale. Fu questo incarico a portare Brennan nella Situation Room della Casa Bianca ogni martedì sotto l’amministrazione Obama.
L’ideatore della Disposition Matrix
Uno degli strumenti più importanti ideati da Brennan per combattere il terrorismo è la cosiddetta “Disposition Matrix”, ovvero un database che raccoglie una grande quantità di dati su presunti terroristi e che serve per decidere di volta in volta quale strategia usare e quali obiettivi colpire. Questo strumento, che è diventato la base della lotta al terrorismo dell’amministrazione Obama nel suo primo mandato e che dovrebbe continuare ad esserlo anche nel secondo, ha reso meno improvvisata la strategia americana nei confronti della lotta al terrorismo.
Brennan difendeva così il suo programma: “È l’ultima risorsa. Né al presidente, né a nessun altro tra di noi, piace che la gente innocente muoia. E per questo lui (il presidente) vuole essere sicuro che vi siano tutte le circostanze tali da giustificare un attacco. L’impossibilità della cattura, la certezza delle informazioni fornite dall’intelligence, la realtà di una minaccia imminente”. Di fatto Brennan divenne in quattro anni la guida di Obama nel mondo dell’intelligence e dell’antiterrorismo. Secondo Michael Leiter, che lavorò insieme a lui come capo del National Counterterrorism Center, Brennan non si limitò solo ad essere l’ideatore della Disposition Matrix: “La cosa che John sapeva fare meglio di chiunque altro era spiegare le operazioni più dedicate al presidente, metterlo a suo agio con queste e aiutarlo a gestirle”.
La guerra segreta in Yemen
Il caso dello Yemen è il più esemplare della strategia di Brennan e il più controverso tra quelli della guerra al terrorismo dell’amministrazione Obama. In realtà gli Stati Uniti non hanno mai dichiarato guerra allo Yemen, ma hanno utilizzato i droni per colpire i presunti terroristi che agiscono nel paese (effettuando i cosiddetti “omicidi mirati”). Le operazioni in Yemen sono state effettuate fin dal principio in un quadro di dubbia legalità: Obama ha stabilito che le decisioni finali sugli obiettivi da colpire sarebbero state prese da lui, mentre a Brennan era affidato il compito di tenere sotto controllo la portata delle operazioni militari.
In Yemen, a differenza di quello che avveniva in Pakistan, gli “omicidi mirati” non venivano concordati con il governo locale, ma venivano decisi unilateralmente dagli Stati Uniti. Le difficoltà a gestire delle operazioni di fatto “segrete” divennero evidenti dopo il Natale 2009, quando il terrorista nigeriano Umar Farouk Abdulmutallab tentò di far esplodere una bomba su un volo di linea della Delta-Northwest Airlines, che copriva la tratta tra Amsterdam e Detroit. Le indagini successive dimostrarono che Farouk faceva parte di un’organizzazione affiliata ad Al Qaida operante in Yemen, ed era legato a Anwar al-Awlaki, un carismatico clerico yemenita nato però negli Stati Uniti. Sia Obama che Brennan riconobbero al-Awlaki come minaccia per la sicurezza americana (dopo l’11 settembre era persino stato avvicinato dalla Difesa americana per averne collaborazione), ma si opposero alle insistenze dei militari per avviare un’operazione molto ampia contro lo Yemen: entrambi non volevano che gli Stati Uniti venissero coinvolti in un conflitto più ampio e che avrebbe potuto trasformarsi in una guerra civile. Al-Awlaki venne poi ucciso nel settembre del 2011 da un drone americano.
Nei due anni successivi Brennan si mostrò sempre più preoccupato che il Pentagono potesse in qualche modo imporre all’amministrazione un’operazione militare ampia in Yemen: decise così, di comune accordo con Obama, di concentrare l’intero processo decisionale sugli “omicidi mirati” all’interno della Casa Bianca. La guerra costante ma di bassa intensità contro il terrorismo internazionale finiva così saldamente nelle mani di Brennan e Obama. Oggi Brennan attira le critiche degli oppositori soprattutto per essere stato uno dei maggiori artefici del programma degli “omicidi mirati” americani. Recentemente Brennan ha dato il suo appoggio per l’utilizzo di droni anche in Mali (per ora solo con funzioni di “sorveglianza”).
Il Brennan difensore delle libertà civili
L’altra faccia di Brennan, quella che piace di più ai liberal, si è mostrata ad esempio nella discussione sulla chiusura del campo di prigionia di Guantanamo. In quell’occasione Brennan ha contestato anche la Casa Bianca per non avere preso una posizione più decisa contro il rifiuto del Congresso di chiudere la struttura detentiva. Lo scorso anno informò il Congresso, in maniera del tutto inusuale fino a quel momento, delle operazioni letali che l’amministrazione aveva approvato in Yemen e Somalia. Secondo i suoi sostenitori, con il cosiddetto “playbook” – ovvero un insieme di regole e procedure precise che stabiliscono quando un attacco letale è giustificato – Brennan avrebbe inoltre cercato di stabilire sempre più precisamente quali sono le condizioni in cui un sospettato terrorista può essere ucciso.
foto: Alex Wong/Getty Images