I brevi presidenti della Consulta
Ieri è stato eletto il nuovo presidente della Corte costituzionale, ancora una volta a pochi mesi dalla pensione: ci sono ragioni per pensare male?
Ieri Franco Gallo, 75 anni, è stato eletto presidente della Corte costituzionale. Gallo faceva parte della Corte dal 2004 ed è stato ministro delle Finanze nel 1993-1994, durante il governo Ciampi. Alcuni commentatori, tra cui Oscar Giannino (candidato alle prossime elezioni politiche) e il giornalista Christian Rocca, hanno fatto notare in modo molto critico la consuetudine di eleggere alla carica di presidente della Corte un giudice che si trova a pochi mesi dalla pensione. In realtà, la questione è nota da tempo e ha qualche giustificazione nel funzionamento della Corte stessa.
A prima vista, la carica di presidente della Corte costituzionale – detta Consulta dal palazzo di Roma in cui ha sede, che a sua volta prende il nome da un antico organo dello Stato della Chiesa – sembra essere una delle più brevi e a più alto ricambio della nostra Repubblica. Nei 57 anni dall’elezione del primo presidente, nel 1956, si sono succedute nella carica 35 persone, con una durata media – Gallo escluso – di diciannove mesi e mezzo; il primo fu Enrico De Nicola, che nei primi anni della storia repubblicana fu anche presidente della Camera, del Senato e soprattutto il primo presidente della Repubblica, trovandosi a ricoprire nella sua vita quattro delle cinque maggiori cariche dello Stato. In confronto, i presidenti del Consiglio, in un periodo di tempo di un decennio maggiore, sono stati “solo” 25 (anche se i governi che hanno presieduto sono stati più del doppio, sessantuno).
Il presidente della Corte Costituzionale è eletto tra i giudici della Corte stessa, che votano a scrutinio segreto e a maggioranza. In teoria la durata della carica è di tre anni e i presidenti uscenti sono rieleggibili. C’è però un’altra scadenza temporale da tenere presente: tutti i giudici della Corte Costituzionale – che sono 15, scelti per un terzo dal Parlamento, per un terzo dal presidente della Repubblica e per un terzo da diversi collegi della magistratura – restano in carica solo nove anni non rinnovabili.
Il presidente può quindi ricoprire più volte l’incarico, ma sempre entro i nove anni del suo mandato complessivo. Alla fine del mandato da presidente, questi assume la carica, onorifica e non prevista dalla Costituzione, di “presidente emerito”. Sulla pensione, che è uno dei punti più o meno apertamente sollevati dai critici, torneremo più tardi.
Di fatto, un intero mandato (tre anni, quattro fino al 1967) si è svolto solo quattro volte in tutta la storia della Corte: il presidente è sempre stato, con poche eccezioni, il membro anagraficamente più anziano tra i giudici che la compongono. Alla cessazione della carica di questo – per pensionamento a 75 anni, età pensionabile dei magistrati, oppure per fine del mandato di nove anni – viene eletto solitamente senza troppi problemi il successivo giudice anziano e così via (Gallo è stato votato da 14 membri su 15, mentre lui ha dato scheda bianca).
La cosa, in realtà, non è mai stata un mistero: pochi giorni dopo il suo insediamento, nel novembre 2008, l’allora presidente Giovanni Maria Flick riconobbe che «l’elezione del giudice anziano, quale che sia il tempo residuo del mandato, è prassi largamente prevalente rispetto alla regola del triennio» prevista dalla Costituzione.
Ma Flick aggiunse che si trattava di una consuetudine «saggia», in quanto la Corte costituzionale ha un’autonomia e un’autorevolezza che «risiede nella collegialità» più che nella personalità del presidente, che svolge in concreto un ruolo più da primo tra pari che da vera guida e orientamento dei giudizi. L’allora presidente non escluse, comunque, l’opportunità di regolare meglio la durata minima della carica e le funzioni del presidente (il presidente che rimase in carica per meno tempo fu Vincenzo Caianiello, per poco più di un mese nel 1995, ma finora 14 presidenti su 35 sono rimasti in carica meno di un anno).
Il sospetto per cui le nomine dei giudici anziani abbiano un risvolto di interesse economico, cioè che queste brevi promozioni servano a ottenere poi pensioni più alte, appare infondato. Lo stipendio di un giudice della Corte Costituzionale è molto alto, principio stabilito da una legge costituzionale del 1953: la retribuzione è pari a quella massima di un magistrato della magistratura ordinaria, aumentata della metà (la legge, con l’aggiunta di “aumentata della metà”, è stata modificata nel 2002). Il presidente ha inoltre un’indennità di rappresentanza pari a un quinto dello stipendio. Questo significa che, nel 2010, lo stipendio annuale di un giudice della Corte era pari a 203.424 per i giudici (427.416 euro lordi, circa 17 mila euro netti al mese) e a 252.148 euro per il presidente (512.900 euro, circa 21 mila euro netti al mese).
Il trattamento pensionistico dei giudici della Corte costituzionale non è diverso da quello degli altri magistrati, che quindi dipende dalla carriera e dalla vita lavorativa di ciascuno. Non tutti i giudici della Corte, inoltre, sono magistrati di carriera, poiché vengono scelti anche professori universitari e avvocati. Non c’è, in altre parole, una particolare “pensione” a cui il presidente della Corte sviluppa un diritto. Con il passaggio al sistema contributivo deciso dal governo Monti, poi, il principio è che la pensione sia calcolata sulla base dei contributi effettivamente versati nel corso della carriera lavorativa. È vero che, per la durata della sua carica, il presidente versa più contributi pensionistici (circa un quinto di più, verosimilmente) ma più è breve la durata della carica e meno saranno i contributi versati.
Foto: Mauro Scrobogna /LaPresse