Il Monte dei Paschi e l’ipotesi di truffa
Sul Corriere Fiorenza Sarzanini si occupa dell'inchiesta a Siena che sta indagando sulle operazioni sui derivati dopo l'acquisizione di Antonveneta
Sul Corriere della Sera di martedì 29 gennaio, Fiorenza Sarzanini torna a occuparsi dell’inchiesta della procura di Siena sul Monte dei Paschi di Siena, spiegando che i magistrati indagano anche su una ipotesi di truffa nei confronti dei vertici della banca. Agli azionisti furono nascoste le operazioni sui derivati che sarebbero servite per ripianare il debito contratto con l’acquisizione di Antonveneta. Per capire da dove arrivano i guai di MPS e il resto della vicenda, qui c’è il racconto dell’intricata storia della banca di Siena.
I vertici del Monte dei Paschi nascosero agli azionisti le operazioni sui «derivati» che dovevano servire a ripianare il debito causato dall’acquisto di Antonveneta. E per questo sono adesso indagati per truffa. Dopo le contestazioni di aggiotaggio, ostacolo agli organi di vigilanza e turbativa, l’inchiesta della Procura di Siena su quella voragine nel bilancio che scuote il mondo finanziario e politico fa un nuovo e clamoroso passo in avanti. Puntando all’allora responsabile dell’Area Finanza Gianluca Baldassari, ma anche all’ex presidente Giuseppe Mussari vero «motore», secondo l’accusa, di quanto accaduto tra il 2007 e il 2012. E artefice di quell’accordo con Jp Morgan che ebbe conseguenze disastrose per i conti della banca senese, perché gravato da due contratti «ancillari» che in realtà si rivelarono condizioni capestro. Nuovi elementi sono emersi su questo fronte rivelando anche le omissioni e le false comunicazioni trasmesse a Bankitalia che aveva chiesto chiarimenti. In particolare le lettere di risposta inviate il 3 ottobre 2008 dai vertici di Mps per garantire sulla regolarità degli atti che invece, accusano i magistrati, dichiaravano circostanze «non rispondenti al vero».
È il 10 ottobre 2012 quando l’amministratore delegato di Mps Fabrizio Viola e il presidente Alessandro Profumo scoprono l’esistenza di un contratto con la banca Nomura che risale a luglio 2009. Riguarda il «derivato» Alexandria e impone una correzione immediata nel bilancio 2012 da 220 milioni di euro, anche se in realtà il «buco» potrebbe essere molto più ampio. Il contratto non è infatti mai stato inserito nella contabilità degli anni precedenti perché è rimasto nella cassaforte del direttore generale Antonio Vigni per tre anni.