Gli architetti di Snøhetta
Il New Yorker racconta lo studio norvegese che ha fatto la biblioteca di Alessandria e dovrà occuparsi di ripensare Times Square
Il New Yorker della scorsa settimana ha raccontato la storia dello studio di architettura norvegese Snøhetta, a cui la città di New York ha commissionato nel 2011 la riprogettazione di Times Square, un’area che a Manhattan è sia un simbolo che un rompicapo urbanistico. Snøhetta, che nacque nel 1987 dall’idea di alcuni giovani architetti norvegesi, ha realizzato progetti in oltre 40 città del mondo. Tra le opere di maggiore prestigio ci sono la nuova biblioteca di Alessandria, il padiglione di ingresso del National September 11 Memorial and Museum (dove sorgeva il World Trade Center) e il teatro dell’Opera e Balletto di Oslo.
Gli architetti di Snøhetta non rientrano nella categoria delle cosiddette “archistar”, quel gruppo di architetti molto famosi che occupano stabilmente le pagine dei giornali con i loro progetti. A differenza di Frank Gehry, Renzo Piano e Zaha Hadid, Snøhetta ha fatto dell’approccio “collettivista” il suo carattere peculiare. La firma dello studio non è mai ingombrante rispetto all’opera. Kjetil Thorsen, uno dei due attuali soci, sostiene che chiunque dello studio può suggerire qualsiasi cosa riguardo a qualsiasi progetto (gli architetti partner dello studio sono oggi circa 120). Anche per questo motivo le opere non sono immediatamente riconducili allo stile di un architetto piuttosto che un altro. Snøhetta è “aperto, diretto, accessibile, egalitario”. Lo stesso nome dello studio non è stato scelto per dare importanza al partner più noto: è il nome di una montagna al centro della Norvegia.
Il primo lavoro importante per Snøhetta arrivò nel 1989, quando Thorsen e alcuni suoi colleghi decisero di partecipare a una competizione internazionale che assegnava il progetto di costruzione di una versione contemporanea della leggendaria biblioteca di Alessandria, la più grande e ricca del mondo antico che andò distrutta a più riprese tra il 48 a.C. e il 642 d.C.. Fu in quella occasione che Thorsen formalizzò la collaborazione professionale con Craig Dykers, che diventerà il socio americano dello studio. Thorsen, Dykers e gli altri colleghi si stabilirono in un appartamento di Los Angeles che affittarono per sei settimane. Volevano realizzare qualcosa che fosse monumentale ma che non intimidisse il visitatore. Il design doveva soddisfare il riferimento alla grandezza dell’antica biblioteca senza sovrapporsi al suo ricordo. L’idea di una struttura a cono circolare, troncato di sbieco, quasi inclinato verso il mar Mediterraneo, fu pensata per invitare il visitatore ad entrare nell’edificio. Il progetto piacque e Snøhetta vinse la competizione. La biblioteca fu completata nel 2001.
David Owen, il giornalista del New Yorker che ha incontrato Thorsen a Oslo, racconta del rapporto che Snøhetta ha sviluppato con lo spazio e con il paesaggio. La sede dello studio si affaccia su un fiordo e l’enorme vetrata che separa lo spazio di lavoro principale dall’esterno sembra indurre alla distrazione, alla lentezza: “Le imbarcazioni partono da laggiù, e dopo una mezz’ora se alzi lo sguardo le puoi vedere ancora”, spiega Thorsen a Owen. Il rapporto con il paesaggio ispira anche il progetto del teatro dell’Opera a Oslo, che ha aperto al pubblico nel 2008. L’Opera, che sembra salire dalle acque di un fiordo, è stata costruita sul suolo di un vecchio sito industriale nel tentativo di riqualificare un’area cittadina dismessa e di integrarla con il paesaggio intorno.
L’edificio assomiglia a un grande ghiacciaio e di notte dalle enormi vetrate dell’Opera escono dei fasci di luce che si riflettono sulle acque del fiordo. Il tetto dell’edificio si è trasformato presto in un’ampia piazza pubblica molto frequentata, realizzando quello che voleva essere uno dei caratteri peculiari del progetto: far sì che l’edificio producesse un forte risultato civico ancora prima che estetico. L’inclinazione del tetto e l’apparente mancanza di barriere protettive lungo il suo perimetro hanno creato quello che Owen definisce un effetto esilarante: guardando verso l’alto si ha l’impressione di essere in montagna, con le sagome degli altri visitatori che hanno alle spalle solo il colore del cielo; guardando invece verso il basso sembra che il tetto si immerga nelle acque del fiordo.
L’attenzione particolare che Snøhetta rivolge all’impatto civico delle sue opere è alla base anche della riprogettazione di Times Square. L’obiettivo del progetto è quello di ripensare lo spazio in modo che i newyorchesi tornino a vivere Times Square in maniera simile a settant’anni fa, quando vi si trasmettevano le partite degli Yankees e i discorsi del presidente Roosevelt.
Oggi Times Square è frequentata soprattutto dai turisti ed evitata dai newyorchesi: secondo Dykers quello che molti dei residenti percepiscono come il problema più grande, la folla di turisti che tutti i giorni si riversa nella piazza, è in realtà un problema di “design”, di progetto, e il design può essere cambiato. Times Square era già stata resa in parte pedonale nel 2009 grazie alla creazione sulla carreggiata di Broadway – che la attraversa e la definisce – di corsie separate per i pedoni e per le automobili. La trasformazione del piano stradale aveva permesso un miglioramento del flusso del traffico e una riduzione degli incidenti, anche se non aveva risolto del tutto il problema dell’affollamento dei pedoni nella piazza.
Nel 2011 Snøhetta è stata incaricata di completare il processo iniziato due anni prima. Secondo Dykers uno dei problemi che rimane per i pedoni è il “ricordo” del passaggio delle automobili nelle corsie oggi colorate di blu e solo pedonali. I marciapiedi laterali vengono inconsciamente considerati più sicuri di questi spazi, e il traffico pedonale non riesce a disperdersi negli spazi che gli sono stati concessi. Inoltre, gli architetti del paesaggio di Snøhetta si sono accorti che Times Square non è piatta, ma è al centro di un avvallamento. Una volta tre ruscelli scorrevano verso il punto più basso della piazza, creando una depressione che nemmeno le successive asfaltature hanno ripianato del tutto (il dislivello è di poco meno di 2,5 metri). Secondo Dykers la morfologia della piazza creerebbe una sensazione di congestione al centro che solo una riorganizzazione dello spazio potrebbe attenuare. Dykers racconta un aneddoto su un amico che va alle feste con il suo cane pastore il cane passa la serata sfiorando e toccando gli ospiti distratti nelle loro conversazioni fino a che al termine della serata, si trovano tutti radunati nella stessa zona della casa, senza rendersene conto: «Come architetti, io penso, dobbiamo provare a essere come il cane pastore alle feste».
L’idea centrale di Snøhetta nella riprogettazione di Times Square è quella di capire come si muovono le persone in un ambiente che non conoscono, per poi indirizzare i loro movimenti in maniera più funzionale. Dykers ammette di essere stato aiutato in questo dal fratello maggiore, che a poco meno di quarant’anni ha sofferto di un aneurisma cerebrale che gli ha impedito da allora di imparare cose nuove: «Se siamo in un ristorante, e lui va al bagno, non si ricorderà come tornare al tavolo, anche se è stato lì dieci volte. Così io lo guardo e cerco di capire come usa gli indizi per muoversi all’interno di un ambiente sconosciuto».