Cibo spaziale
Le belle foto dei pasti preparati dalla NASA per gli astronauti in oltre 50 anni di esplorazioni spaziali
Fare uno spuntino in assenza di gravità non è tra le cose più semplici di questo mondo, come sanno bene le decine di astronauti che da oltre cinquant’anni bazzicano lo Spazio. Vinta la lieve (o profonda, a seconda dei casi) sensazione di nausea che si prova nel galleggiare liberi in un cilindro di latta oltre l’atmosfera terrestre, bisogna fare i conti con le confezioni in cui sono inseriti i pasti e con la possibilità che si mettano a svolazzare da tutte le parti. L’ingestione del cibo è invece meno complicata, grazie ai movimenti del nostro esofago, che anche in assenza di gravità mandano al sicuro nello stomaco ciò che è stato masticato.
I responsabili dell’Advanced Food Technology Project (AFT) della NASA si occupano da tempo di studiare, sperimentare e approvare i sistemi per la nutrizione degli astronauti nello Spazio. Il loro compito è di trovare cibi che siano sicuri, nutrienti e possibilmente anche gustosi. Il problema di dotare gli equipaggi spaziali con razioni di cibo si presentò negli anni della Guerra Fredda, quando c’era una serrata competizione per quanto riguardava le esplorazioni nello Spazio tra Stati Uniti e Unione Sovietica. Terminata la fase dei primi voli sperimentali, in cui gli astronauti rimanevano in orbita per poche ore, i ricercatori si misero al lavoro per studiare sistemi di conservazione e somministrazione dei pasti.
All’epoca delle missioni Apollo, gli astronauti spesso preferivano mangiare pochissimo per evitare di dovere andare in bagno e diffondere cattivi odori in cabina, che perduravano a lungo a causa dello scarso ricambio d’aria. I pasti, inoltre, non erano eccezionali ed erano accompagnati da grandi quantità di bevande zuccherate, come succhi a base di frutta molto densi. Gli astronauti erano sostanzialmente mal nutriti e tornavano dalle loro missioni avendo perso grandi quantità di peso.
Le cose, naturalmente, sono migliorate nel corso del tempo e oggi i sistemi adottati, soprattutto dalla NASA, consentono agli astronauti di consumare pasti più che dignitosi sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS). L’AFT si occupa dello studio e della verifica dei migliori involucri per conservare il cibo, e anche delle soluzioni più adatte per mantenerlo sotto vuoto. C’è poi l’esigenza di realizzare confezioni che occupino poco Spazio e che non pesino troppo, perché i rifornimenti verso la ISS non avvengono molto di frequente e ci sono fino a sei astronauti per volta da sfamare.
Allo stato attuale, come aveva raccontato uno degli ex responsabili dei programmi di nutrizione della NASA, Charles Bourland, il cibo nello Spazio può essere raggruppato in sei tipi diversi.
– Cibo reidratabile: ossia il cibo dal quale viene estratta l’acqua sulla Terra per poi essere reimmessa nello Spazio, per ridurre il peso e allungare il suo tempo di conservazione.
– Cibo termostabilizzato: cibo trattato con il calore per eliminare batteri, microrganismi o enzimi e confezionato in lattine o altri pacchetti, simile al cibo pronto MRE (Meal “Ready-to-Eat”) dei soldati in caso di emergenza.
– Cibi con una percentuale d’acqua media: pesche essicate, pere, carne, insomma cibi con una quantità d’acqua tra il 15 e il 30 per cento.
– Snack: come noccioline, barrette di cereali, M&M’s.
– Carne irradiata. L’irradiazione è un trattamento fisico degli alimenti effettuato con radiazioni ionizzanti ad alta energia, in grado di inattivare gli enzimi degradativi presenti nell’alimento ritardandone il deterioramento e di inibire la moltiplicazione dei microrganismi.
– E poi condimenti vari, come ketchup, senape, maionese e altre salse.
Un astronauta sulla ISS si ciba unicamente con i pasti realizzati sulla Terra e inviati sulla stazione. Le cose potrebbero cambiare in futuro, soprattutto nell’ipotesi di viaggi spaziali che richiederanno diversi mesi, per raggiungere Marte per esempio. In questo caso, spiegano gli esperti della NASA, potrebbe essere necessario un sistema per la produzione di determinati alimenti direttamente a bordo. La NASA sta conducendo diversi studi in merito, insieme ad altre analisi per valutare gli effetti sull’organismo degli astronauti della protratta permanenza nello Spazio.