Come vanno le cose a Taranto
Ieri si sono incontrati il gruppo Riva, il ministro dell'Ambiente e i sindacati, oggi Adriano Sofri fa il punto della situazione sulla cassa integrazione degli operai ILVA e il destino della merce sequestrata
Adriano Sofri torna a parlare su Repubblica della situazione all’ILVA di Taranto: ieri si è tenuto l’incontro tra il ministro dell’Ambiente Corrado Clini, le organizzazioni sindacali e il presidente delle acciaierie Bruno Ferrante. Dall’incontro è emersa la possibilità della cassa integrazione per quasi 9 mila lavoratori, 7 mila solo a Taranto. Tra le ipotesi per salvare l’ILVA ci sarebbe anche il dissequestro e la vendita del materiale giacente, sequestrato dalla magistratura e fermo dal 26 novembre, il cui valore presunto è di un miliardo di euro.
La conferenza stampa che uomini del governo, dell’Ilva e dell’attuando Decreto (donne niente: è pur sempre acciaio) hanno tenuto ieri è stata delle più sciolte e lunghe. Dunque è tanto più significativo che alla fine ne sia rimasto una specie di vasto ronzio esausto, come di mosche in un bicchiere, mosche di domande e mosche di risposte. Anche i beneducati che fingevano di credere che una soluzione ci sia, e anzi sia alle porte sanno di girare in tondo. L’unica cosa data per certa, e dilazionata per pudore — «Ancora un minutino, signor boia…» — è la decisione di mettere in cassa integrazione fino a novemila operai. L’ennesima istanza dell’Ilva sul dissequestro, corredata dal proposito di devolverne il ricavato a salari e bonifiche, non ha un gran futuro, né un futuro qualunque. Resta il tentativo disperato di un “dissequestrino”: come con la ragazza madre del vecchio proverbio, che aveva fatto un bambino ma lo aveva fatto piccolo piccolo.
Ho posto un problema alle autorità di governo e di azienda. L’Ilva sostiene di non avere i fondi sufficienti al normale svolgimento della attività produttiva, e al pagamento degli stipendi, se non attraverso la vendita del materiale giacente, il cui valore presunto è di un miliardo. Questo vuol dire che l’azienda da cui dipende il 75 per cento del Pil della provincia di Taranto, il 40 per cento delle forniture nazionali di acciaio e più di mezzo punto del Pil italiano, ha un assoluto bisogno, per pagare i lavoratori e ottemperare al risanamento, di incassare il prezzo di una merce prodotta in violazione della legge. In altre parole, salari, bonifica e continuità produttiva dipendono dallo smercio di un corpo di reato da parte dell’autore del reato.
(continua a leggere sulla rassegna stampa della Camera dei Deputati)