Cosa sono i “poveri” per l’Istat
E cosa vuol dire quindi il dato di "8 milioni di poveri" che state leggendo ovunque (e che è identico a quello del 2010)
L’Istat, autorevole ente di ricerca statistica e studi sulla popolazione italiana, ha pubblicato martedì l’edizione 2013 della sua analisi “Noi e l’Italia”, ricca di dati e informazioni sull’Italia e gli italiani. Come accade in questi casi, essendo lo studio molto denso e lungo, ai media è stato consegnato un sunto con alcune notizie ritenute più attraenti dal punto di vista giornalistico, e quindi i titoli e gli articoli si assomigliano tutti e privilegiano soprattutto il dato di “8 milioni di poveri” in Italia, esaltato dai comunicati stampa di sintesi. Ma quasi nessuno approfondisce e spiega cosa si indichi esattamente come “poveri”, e quindi il dato è un po’ generico e vago.
L’Istat invece dà indicazioni piuttosto chiare su tutti i suoi indicatori, e anche su questo dato, così esposto:
In Italia, nel 2011, le famiglie in condizioni di povertà relativa sono l’11,1 per cento delle famiglie residenti; si tratta cioè di 8,2 milioni di individui poveri, il 13,6 per cento della popolazione residente. La povertà assoluta coinvolge il 5,2 per cento delle famiglie, per un totale di 3,4 milioni di individui. L’intensità è pari al 21,1 per cento per la povertà relativa e al 17,8 per la povertà assoluta.
E le indicazioni su a cosa ci si riferisca sono anch’esse contenute nello studio, che definisce esattamente i termini di “povertà relativa” e “povertà assoluta”:
Una famiglia viene definita povera in termini relativi se la sua spesa per consumi è pari o al di sotto della linea di povertà relativa, che viene calcolata sui dati dell’indagine sui consumi delle famiglie. Per una famiglia di due componenti è pari alla spesa media mensile per persona e, nel 2011, è risultata di 1.011,03 euro mensili. La soglia di povertà assoluta corrisponde, invece, alla spesa mensile minima necessaria per acquisire il paniere di beni e servizi considerati essenziali, nel contesto italiano e per una determinata famiglia, a conseguire uno standard di vita “minimamente accettabile”. Le famiglie con una spesa mensile pari o inferiore al valore della soglia (che si differenzia per dimensione e composizione per età della famiglia, per ripartizione geografica e ampiezza demografica del comune di residenza) vengono classificate come assolutamente povere. Nel 2011, per una famiglia di due componenti adulti (18-59 anni) di un piccolo comune la soglia di povertà assoluta è pari a 984,73 euro, se residente nel Nord, e a 761,38 euro, se nel Mezzogiorno; scende a 918,93 euro e 704,69 euro rispettivamente qualora uno dei due componenti abbia più di 74 anni. L’intensità della povertà indica, in termini percentuali, quanto la spesa media mensile delle famiglie classificate come povere sia al di sotto della linea di povertà.
Gli “8 milioni di poveri” dei titoli sono in sintesi 8,2 milioni di persone appartenenti a famiglie considerate in “povertà relativa” perché la loro spesa media mensile (delle singole famiglie) è inferiore a una media calcolata su una famiglia di due persone (e variabile al crescere dei componenti della famiglia): media che oggi è di 1011 euro, ed è quindi aumentato dai 992 del 2010 (“Per famiglie di ampiezza diversa il valore della linea si ottiene applicando un’opportuna scala di equivalenza che tiene conto delle economie di scala realizzabili all’aumentare del numero di componenti”).
È interessante anche vedere cosa significa e cosa implica questo dato, al di là del suo preoccupante effetto laddove sintetizzato in questi titoli. E nella precedente ricerca del 2010 lo stesso dato era questo:
In Italia, nel 2010, sono 2 milioni 734 mila le famiglie in condizione di povertà relativa (l’11% delle famiglie residenti); si tratta di 8 milioni 272 mila individui poveri, il 13,8% dell’intera popolazione.
Ovvero una cifra praticamente identica a quella presentata nel 2013 (per la precisione con un calo dello 0,2% dal 2010 al 2013 degli individui “poveri”).