Quanto costano gli F-35?
Indagine su un popolare argomento da talk show: quando è nato il programma di acquisto dei cacciabombardieri e quanto risparmieremmo se vi rinunciassimo
Uno dei temi ricorrenti di questa campagna elettorale e delle discussioni sulle finanze dello Stato, dopo aver avuto altri momenti di notorietà in passato, è quello degli aerei F-35, un nuovo modello di aereo da guerra al cui progetto di sviluppo, guidato dagli Stati Uniti, partecipa anche l’Italia. In particolare alcuni esponenti politici, tra cui Nichi Vendola e Antonio Di Pietro, sostengono che l’abbandono del programma porterebbe a risparmi tali da poter abolire alcune tasse, per esempio l’IMU sulla prima casa. Una nota di Umberto Guidoni sul sito di SEL, attualmente in prima pagina, parla di “una spesa di almeno due miliardi all’anno nei prossimi venti anni” per gli F-35 e il sito promuove una petizione sul tema, mentre per quanto riguarda le posizioni di Di Pietro si può vedere questo post.
Che cosa sono gli F-35
Il programma di sviluppo e costruzione degli F-35 ha il nome ufficiale di “Joint Strike Fighter (JSF)” e ha l’obiettivo di costruire un aereo da combattimento cosiddetto “di quinta generazione”. È svolto dagli Stati Uniti in collaborazione con Regno Unito, Italia, Canada, Danimarca, Norvegia, Olanda, Australia, Turchia, Singapore e Israele. I diversi paesi hanno diversi livelli di coinvolgimento nel progetto: il Regno Unito è l’unico di primo livello (partecipa a circa il 10 per cento delle spese di ricerca e sviluppo), mentre Italia e Olanda sono due partner di secondo livello (partecipazione intorno al 5 per cento). Il programma serve, nel caso dell’Italia, a sostituire tre modelli di aereo militare, e cioè i Tornado, gli AM-X e gli AV8B della Marina. Questi tre diversi aerei sono stati prodotti introdotti nelle forze armate italiane tra gli anni Ottanta e i primi anni 2000. Sulle caratteristiche tecniche dell’aereo è disponibile una scheda sul sito dell’Aeronautica.
Il programma per lo sviluppo dell’F-35 ha già subito parecchi ritardi e enormi aumenti di costi, stimati in oltre il 50 per cento: il singolo esemplare, che nel 2001 aveva il prezzo previsto di 70 milioni di dollari circa, è ora passato a costare circa 120 milioni e probabilmente ne costerà molti di più (si stima intorno ai 140 milioni). Quanto ai ritardi, le stime “indicative” dicono che la sostituzione con i modelli attualmente in uso in Italia avverrà a partire dal 2015. Non sono però tempi né ritardi sconosciuti ai programmi militari: i Tornado – progetto sviluppato da Italia, Regno Unito e Germania Ovest – entrarono in funzione nel 1982, ma il coinvolgimento italiano iniziò almeno nel 1969.
Chi ha deciso l’acquisto
Il programma del JSF è iniziato nei primi anni Novanta e l’interessamento italiano ha attraversato governi di ogni colore. È iniziato intorno al 1998, quando il ministro della Difesa dell’allora governo Prodi era Beniamino Andreatta. I negoziati per l’inserimento dell’Italia nel programma sono iniziati nel 2001 e si sono conclusi tra giugno e luglio 2002, quando il ministro della Difesa del governo Berlusconi era Antonio Martino, con la firma di due documenti di accordo tra l’Italia e gli Stati Uniti. Al momento della firma del documento, l’Italia si impegnava a fornire i fondi per circa il 4 per cento dell’intera fase ricerca e sviluppo, che è iniziata nello stesso 2002 e non si è ancora conclusa. A febbraio 2012, il ministro Di Paola – che è stato capo di stato maggiore della difesa dal 2004 al 2008 – ha annunciato che l’Italia aveva ridotto le ordinazioni da 131 a 90 aerei, come contributo al processo di spending review del governo.
Quanti soldi costa
La cifra precisa del costo degli aerei è rimasta per parecchio tempo incerta e ha oscillato tra i 13 e i 18 miliardi di euro totali. Sicuramente si tratta di un programma pluridecennale: quindi è importante capire anche come i soldi sono distribuiti nel corso degli anni. È diverso, naturalmente, se i 18 miliardi sono spalmati su trent’anni o su cinque, ma è anche diverso se i costi sono concentrati nel breve, nel medio o nel lungo periodo: se, cioè, gran parte dei soldi vanno spesi nei prossimi tre anni e la “manutenzione” costerà qualche milione di euro nei prossimi venti.
Un recente rapporto del Ministero della Difesa permette di indicare qualche dato ufficiale. A pagina 6 dell’allegato C della Nota Aggiuntiva allo stato di previsione per la Difesa per l’anno 2012, che è stata presentata al Parlamento dal Ministro della Difesa Giampaolo Di Paola nell’aprile dello scorso anno, sono esposti nel dettaglio (anche se un po’ nascosti) tutti i costi previsti per il programma dell’F-35.
Alla voce “Sviluppo velivolo Joint Strike Fighter”, che è di gran lunga la voce principale nel settore investimenti dell’aeronautica, si mette a bilancio una spesa di 548,7 milioni di euro per il 2012. Nelle note si aggiunge la ripartizione delle spese previste complessivamente per il programma, compresi quindi i soldi già spesi a partire dal 2002 (quasi tutti nel settore della ricerca e sviluppo). Alcune sono stranamente calcolate in dollari, altre sono spalmate su parecchi anni, altre ancora non sono ancora definite:
– per la fase di sviluppo, circa 1.028 milioni di dollari, con completamento previsto nel 2012;
– per la fase di sostegno alla produzione, circa 900 milioni di dollari, con completamento previsto nel 2047;
– per le attività di predisposizione in ambito nazionale, “oneri in fase di definizione”;
– per assemblaggio finale, manutenzione, revisione, riparazione e aggiornamento, circa 795,6 milioni di euro, con completamento nel 2014;
– per “l’avvio dell’acquisizione e supporto logistico”, circa 10 miliardi di euro entro il 2026.
Quindi, tirando le somme e facendo le equivalenze: secondo il ministero della Difesa il programma JSF prevede al momento spese per 12,2 miliardi di euro entro la scadenza massima del 2047, tra 34 anni, più una cifra per “predisposizione in ambito nazionale” che non è definita. Tralasciando quest’ultima cifra, farebbero circa 360 milioni di euro l’anno. Ma queste spese sono distribuite in modo diseguale: per il 2012 si mettono in conto 512 milioni e questa cifra annuale probabilmente non diminuirà di molto nel prossimo futuro, dato che entro il 2014 sono già messe in conto, complessivamente, spese per quasi due miliardi. C’è poi la voce dell'”avvio dell’acquisizione e supporto logistico”, la più ingente, che è quella che entrerà in gioco quando gli aerei, in concreto, arriveranno. Anche se è spalmata su 24 anni senza ulteriore indicazione di altri scaglionamenti interni, si tratta in media di oltre 400 milioni di euro l’anno.
Bisogna comunque farsi un’idea delle proporzioni: il bilancio della Difesa per il 2012 è stato di 19,9 miliardi di euro, pari all’1,2 per cento del PIL (la media europea più aggiornata, del 2010, è dell’1,61 per cento del PIL: quell’anno l’Italia spendeva l’1,4 per cento). Di questi, la spesa totale per esercito, marina e aviazione è di 13,6 miliardi, mentre il resto del bilancio va ai Carabinieri. Tre quarti del totale delle spese viene speso per il pagamento degli stipendi, come indicato a pagina 19 del rapporto.
Dove vanno quei soldi
Quello degli F-35 è sicuramente un programma militare molto costoso che ha qualche ritorno per l’economia italiana, anche se sono ritorni difficili da quantificare e difficilmente dell’ordine di grandezza delle spese da sostenere. Nel 2001 la realizzazione dell’aereo è stata data a un gruppo industriale guidato dalla statunitense Lockheed Martin e di cui fanno parte ai primi posti Northrop Grumman (americana), BAE Systems (britannica) e, per i motori, le statunitensi Pratt & Whitney, General Electric e Rolls Royce (quest’ultima britannica).
Il gruppo italiano Finmeccanica – che per il 30 per cento è di proprietà del ministero dell’Economia – partecipa alla costruzione degli aerei attraverso tre aziende principali: Alenia, SELEX Galileo e SELEX Communications. Anche Avio, un’altra azienda aerospaziale italiana in cui Finmeccanica ha una partecipazione, è coinvolta nel progetto.
Alenia partecipa già da tempo ad alcune fasi di progettazione del JSF, insieme alla Lockheed Martin, nella sede di Pomigliano d’Arco. Partecipa soprattutto alla costruzione di alcune componenti finali delle ali dell’aereo (per ora in due stabilimenti a Foggia e a Nola). Lavora poi nella base dell’aeronautica militare di Cameri, in provincia di Novara, dove è stata costruita l’unica linea di assemblaggio finale, manutenzione, supporto logistico e aggiornamento degli aerei al di fuori degli Stati Uniti. SELEX Galileo partecipa alla costruzione del sistema di puntamento. Altri dettagli sono disponibili in questa scheda del 2010 sul sito di Finmeccanica.
In conclusione
È certamente vero che, in senso astratto, l’abbandono del programma porterebbe a un risparmio economico. In base ai dati a disposizione, però, la spesa per gli F-35 è molto inferiore al gettito dell’IMU sulla prima casa che si vorrebbe eliminare, stimato in circa 3,3 miliardi di euro per il 2012 mentre, come abbiamo visto, le spese messe a bilancio per gli F-35 nello stesso anno sono state di 512 milioni. Senza contare che la spesa per gli aerei è tecnicamente una spesa una tantum, per quanto dilazionata in molti anni, mentre il gettito dell’IMU è un flusso che garantisce introiti di entità variabile ma presenza costante nel tempo (a meno che non venga abolita, ma questo vale per qualsiasi imposta).
Bisogna poi vedere se e come l’uscita da un programma che è arrivato quasi alla fine della sua fase di ricerca e sviluppo sia possibile. Nessuno ha ancora scovato, nei documenti di intesa tra Italia e Stati Uniti, penali esplicite per l’uscita dal programma, e diverse aziende italiane hanno già concretamente iniziato a lavorare a pezzi dell’aereo.