La storia di Peter Linnerooth
Un noto psicologo militare americano si è suicidato, dopo aver fatto i conti per anni col numero enorme di suicidi tra i veterani
L’esercito statunitense fa da molti anni i conti con il numero altissimo di soldati che decidono di suicidarsi durante e dopo le missioni militari in cui vengono impiegati. Oggi Time racconta una di queste storie, diversa da tutte le altre: la storia di Peter Linnerooth, uno psicologo militare che lavorava nell’esercito e che si è ucciso il 2 gennaio, a 42 anni, dopo aver curato per anni centinaia di soldati traumatizzati dall’esperienza della guerra, per evitare che si suicidassero loro.
Peter Linnerooth aveva trascorso cinque anni nell’esercito americano, inclusi 12 mesi in Iraq nel momento peggiore del conflitto. Dopo essere tornato a casa aveva continuato a lavorare come psicologo nell’esercito, in California e in Nevada, cercando di curare i veterani depressi con tendenze suicide: l’obiettivo del suo lavoro consisteva proprio nel ridurre il più possibile gli effetti dello stress da combattimento ed evitare che questo si trasformasse nel disturbo post-traumatico da stress, che colpisce soprattutto i militari impegnati in area operativa e in azioni a fuoco.
Linnerooth, che aveva ricevuto la Bronze Star Medal dell’esercito, negli ultimi anni aveva più volte denunciato la negligenza dell’esercito americano rispetto al numero troppo basso di psicologi in proporzione al numero di soldati: nel 2009 erano soltanto 408 gli psicologi impiegati dall’esercito a fronte di 553 mila soldati attivi, senza contare i soldati rientrati dalle missioni che avevano atteso anche più di un anno prima di ottenere una visita specialistica. Linnerooth aveva anche sollevato la questione della salute degli stessi operatori psichiatrici nell’esercito, costretti a seguire decine di casi al giorno e a fare i conti con centinaia di racconti e di esperienze traumatiche dei propri commilitoni. In un articolo del New York Times aveva raccontato che nel 2005, quando aveva prestato servizio nella base militare di Schweinfurt, in Germania, era l’unico psicologo per 10 mila persone. Sua moglie Melanie ha raccontato che negli ultimi tempi era molto frustrato dal senso di impotenza per il fatto che il numero di morti suicidi avesse superato quello dei soldati morti in combattimento.
In psicologia e psichiatria il disturbo post-traumatico da stress (DPTS o Post-Traumatic Stress Disorder, PTSD) è l’insieme delle sofferenze psicologiche conseguenti a un evento traumatico o violento. Il disturbo è noto anche come “nevrosi di guerra” perché fu inizialmente riscontrato soprattutto in soldati coinvolti in situazioni particolarmente complicate, stressanti e drammatiche. Nonostante la questione fosse già stata affrontata da Sigmund Freud durante la Prima guerra mondiale, il tema fu portato all’attenzione dell’opinione pubblica soltanto durante la Guerra del Vietnam, quando il disturbo iniziò a manifestarsi in proporzioni molto ampie nei veterani di guerra. Si calcola infatti, anche se i dati sono discordanti, che la guerra in Vietnam abbia causato un numero più alto di vittime tra i veterani rispetto al numero di militari morti in azione o per le conseguenze di ferite riportate in combattimento (quasi 57 mila). La maggior parte dei militari colpita da DPTS ne riscontra i sintomi solo nel breve termine, ma secondo recenti studi sempre più casi diventano cronici.
Dall’inizio della guerra in Iraq, nel 2003, il tasso di suicidi nelle forze armate statunitense è continuato a salire (dal 2001 al 2006 è quasi raddoppiato, malgrado tra la popolazione civile sia rimasto invariato), insieme al tasso di depressione, ansietà e altre malattie mentali, spingendo i vertici militari a varare una serie di iniziative di informazione e prevenzione e ad assegnare ai contingenti in Afghanistan e in Iraq un numero di psicologi superiore rispetto alle precedenti missioni. La figura dello psicologo militare impiegato in missione è centrale poiché è importante intervenire in tempi brevi e il più vicino possibile al luogo di esposizione allo stress traumatico e organizzare centri di supporto psicologico in cui dare lezioni sulla gestione dello stress.
Ogni anno circa 6500 veterani americani si tolgono la vita, con una media di 18 tentati suicidi al giorno. Le statistiche indicano che nel 2009 è stato registrato il tasso più alto di suicidi tra i militari statunitensi dall’inizio della guerra in Afghanistan, un bilancio superato nel 2012: secondo il Pentagono nei primi sei mesi del 2012, 154 militari americani si sono suicidati, rispetto ai 130 dell’anno precedente nello stesso periodo di tempo. Il rischio di disturbi mentali che possano spingere al suicidio, però, non è l’unica conseguenza negativa che attende i reduci una volta rimpatriati: per molti di loro risulta difficoltoso proprio il reinserimento nel contesto famigliare e più in generale nel contesto sociale. Molti reduci non riescono a trovare lavoro una volta tornati a casa (la percentuale di disoccupati tra i reduci americani è tra le più alte nel paese) e cercano di superare gli attacchi di panico e i problemi di insonnia con l’uso di alcol e psicofarmaci.
foto: Robert MacPherson/AFP/Getty Images