Di nuovo la par condicio
Come i partiti si dividono gli spazi in tv e da dove viene questa invenzione relativamente recente descritta da una desueta espressione latina
L’Italia è in campagna elettorale, e in Italia la campagna elettorale è il tempo della cosiddetta par condicio, ovvero un insieme di regole che permettono a tutti i partiti politici di avere le stesse condizioni nell’accesso ai mezzi di comunicazione: regole che hanno un funzionamento complicato e controverso e sono un’invenzione relativamente recente.
Come funziona
In Italia la par condicio si basa su un principio “quantitativo”: semplificando, a tutti i partiti deve essere dato uguale spazio. Questo principio, naturalmente, premia in teoria i partiti più piccoli o che hanno meno mezzi e penalizza i partiti più grandi o con più disponibilità economica.
Le leggi che la regolano sono numerose, approvate tra il 1993 e il 2005, anche se la principale che regola l’attuale par condicio è del 2000. Due organi diversi hanno il compito di farle rispettare: l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM) per le televisioni e le radio private e la Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi (detta Commissione vigilanza RAI) per le reti pubbliche.
Prima di ogni singola consultazione elettorale – referendum, elezioni politiche, regionali, europee – l’AgCom e la Commissione di vigilanza emanano due diversi regolamenti. L’AgCom ha pubblicato lo scorso 28 dicembre il regolamento per le prossime politiche di fine febbraio, mentre la Commissione di vigilanza, che attualmente è presieduta da Sergio Zavoli del PD, ha approvato il suo regolamento il 3 gennaio.
Che cosa stabilisce
In concreto, i regolamenti RAI e quelli AGCOM sono molto simili: per semplificare, seguiremo i secondi e ci concentreremo sulle regole che riguardano radio e televisione. Per stabilire chi deve essere rappresentato, il periodo preelettorale è diviso in due: quello che va dalla convocazione dei “comizi elettorali” (antica espressione che significa semplicemente le elezioni), che in questo caso è stata il 22 dicembre 2012, e il giorno della presentazione ufficiale delle candidature e delle liste, che è oggi, 11 gennaio. Il secondo periodo va dalla presentazione delle candidature all’ultimo giorno delle votazioni (in questo caso, il 25 febbraio).
Per il primo periodo devono essere rappresentati tutti i gruppi parlamentari più i movimenti politici che hanno eletto almeno due europarlamentari. Per il secondo devono essere rappresentate tutte le coalizioni e tutte le liste che si presentano in collegi o regioni rappresentativi di almeno un quarto della popolazione italiana: questo spiega perché alcuni piccoli gruppi che si presentano, per esempio, solo in una regione, non avranno alcuno spazio televisivo. Ci sono norme particolari per i gruppi misti di Camera e Senato e per la tutela delle minoranze linguistiche.
Sui canali TV e su quelli radio, le forze politiche di cui abbiamo parlato sopra devono ricevere uguale spazio (cioè uguale minutaggio televisivo). I regolamenti chiariscono che questo può non succedere all’interno di una sola trasmissione, ma anche in “un ciclo di più trasmissioni, purché ciascuna di queste abbia analoghe opportunità di ascolto”. L’arco di tempo in cui si deve riservare uguale spazio a tutti è ciascuna settimana prima del voto. Le trasmissioni politiche devono essere tra le 7 del mattino e mezzanotte (l’una per la radio).
La definizione dei programmi televisivi a cui si applicano queste regole è molto ampia: si tratta dei “programmi di comunicazione politica”, cioè “ogni programma in cui assuma carattere rilevante l’esposizione di opinioni e valutazioni politiche manifestate attraverso tipologie di programmazione che comunque consentano un confronto dialettico tra più opinioni”. Le regole della parità del trattamento, che si applicano sempre nell’arco della settimana, riguardano anche eventuali confronti tra i candidati alla presidenza del Consiglio (in una settimana devono essere invitati tutti e devono avere uguale tempo e rilievo).
I candidati alle elezioni non possono presenziare a programmi che non siano quelli definiti nel paragrafo precedente.
Oltre alle trasmissioni radio e televisive, i partiti hanno a disposizione spazi gratuiti in cui possono mandare spot elettorali. Anche su questi ci sono norme molto precise. Possono durare tra 1 e 3 minuti (tra 30 e 90 secondi per gli spot radio) e devono essere messi in appositi “contenitori”, ovvero spazi televisivi autonomi – non in mezzo ad altri programmi, diversamente dalla pubblicità commerciale – in 4 precise fasce orarie: 9-11, 14-16, 18-20 e 22-24. Ogni soggetto politico può mandare al massimo due spot al giorno sulla stessa emittente.
Per quello che riguarda i sondaggi, la legge stabilisce che non possano essere resi pubblici risultati di sondaggi nei 15 giorni prima del voto.
Il problema delle sanzioni
Quello delle sanzioni è uno dei punti più controversi delle normative per la par condicio. Chi se ne occupa – sia per i canali RAI che per quelli privati – è l’AGCOM, con l’aiuto della Guardia di Finanza per le “indagini”. I soggetti politici possono presentare anche denunce all’AGCOM contro altri.
Nella pratica le sanzioni hanno il limite di intervenire solo quando il “danno” è già stato fatto. Solitamente, poi, sono particolarmente leggere: devono arrivare entro le 48 dalla violazione o dalla denuncia, e consistono in trasmissioni compensative che diano spazi a chi è stato danneggiato, da mandare in onda nei giorni successivi. La sanzione per la violazione dei regolamenti è bassissima, tra i 1000 e i 20 mila euro. Nei casi più gravi, però, si può arrivare addirittura ad ordinare la sospensione delle trasmissioni dell’emittente per un periodo massimo di 30 giorni.
Un po’ di storia
Par condicio è un’espressione latina che significa “uguale condizione”: ha quindi lo stesso significato di “pari opportunità”. Viene dal linguaggio giuridico latino e più precisamente dal campo del diritto fallimentare: l’espressione par condicio creditorum indica che tutti i creditori devono essere rimborsati in uguale percentuale dal debitore fallito.
Questa espressione poco consueta entrò improvvisamente nel lessico politico italiano dopo un discorso dell’allora presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, il 24 settembre 1994. Scalfaro, durante un discorso ad Ancona, disse: «La democrazia, per vivere, ha bisogno di una società pluralistica, in cui la mediazione dei partiti possa avvenire sulla base di una totale parità, secondo il principio della par condicio». La frase suona generica oggi, ma Scalfaro si riferiva alle nomine RAI del centrodestra, che era da poco al governo (e ancora per poco) dopo le elezioni del marzo del 1994, le prime a cui si presentò Silvio Berlusconi. E Berlusconi era da anni il proprietario di tre televisioni nazionali commerciali.
Nel suo famoso discorso di fine anno del 1994, quando il governo Berlusconi non aveva già più il sostegno della Lega, Scalfaro fece un esplicito riferimento alla necessità di una nuova legge sulla par condicio prima di poter tornare a votare, chiamandola «condizione vitale per uno Stato democratico». Poco tempo dopo dette l’incarico al governo tecnico di Lamberto Dini invece di sciogliere le camere e indire nuove elezioni, come voleva Berlusconi: il famoso “ribaltone”, dopo di che il centrodestra passò definitivamente a considerare Scalfaro un nemico.
Foto: Mauro Scrobogna /LaPresse