Storia di Bitiya
Il Wall Street Journal ha ricostruito la storia della ragazza stuprata e uccisa in India: chi era e cosa faceva prima di salire su un autobus il 16 dicembre
di Emanuele Menietti – @emenietti
Il 29 dicembre 2012 la ragazza indiana che aveva subito uno stupro di gruppo a Delhi, circa due settimane prima, è morta in un ospedale di Singapore a causa di complicazioni cerebrali e gastrointestinali. Da caso di cronaca locale, come molti altri simili che si verificano ogni anno in India, la sua storia ha fatto il giro del mondo anche in seguito alle numerose proteste organizzate nelle città indiane per chiedere al governo maggiori tutele per le donne. Il racconto delle proteste e del caso giudiziario, iniziato da qualche giorno con il processo ai responsabili dello stupro, ha distolto in parte l’attenzione su chi fosse e che vita avesse la ragazza prima dei fatti del 16 dicembre scorso. Quattro giornalisti del Wall Street Journal hanno raccolto informazioni e messo insieme un’interessante inchiesta sul caso, che danno nuovi dettagli su come sono andate le cose a Delhi.
Della ragazza non è noto il nome completo, ma solamente il soprannome con cui veniva chiamata in famiglia, come milioni di altre sue coetanee in India: “Bitiya”, che nella lingua locale significa semplicemente “figlia”. La sua famiglia è originaria di Ballia, capoluogo dell’omonimo distretto nello stato dello Uttar Pradesh, nel nord dell’India. I suoi genitori si spostarono a Delhi circa 30 anni fa alla ricerca, come tanti, di una vita migliore nella grande conurbazione della capitale. Il padre trovò lavoro in una fabbrica di elettrodomestici e vi lavorò per circa 13 anni, come assemblatore. Poi si mise in proprio e per una decina di anni ebbe serie difficoltà a trovare il denaro per mantenere moglie e figli.
Le cose per il padre di Bitiya migliorarono quando trovò impiego come guardia di sicurezza presso una clinica. Infine, tre anni fa riuscì a farsi assumere all’aeroporto, come addetto al caricamento delle merci. Nel corso del tempo, per avere qualche risorsa economica in più, vendette anche alcuni appezzamenti di terreno della propria famiglia. In questo modo riuscì a pagare l’istruzione della figlia e dei suoi due fratelli, che ora hanno 15 e 17 anni. Non si sa quanti anni avesse Bitiya, ma molte fonti di stampa hanno riferito che era più grande dei suoi fratelli.
La famiglia, spiegano sul Wall Street Journal, vive nella zona di Mahavir, poco più a nord dell’aeroporto internazionale Indira Gandhi, in una piccola via con alcuni negozi di scarpe, gioielli e alimentari. Nell’area vivono principalmente immigrati che lavorano per imprese di costruzioni, molto attive grazie alla crescente richiesta di case da parte della crescente classe media.
I fratelli di Bitiya raccontano che facevano spesso a cuscinate con la loro sorella, che si difendeva bene anche se era alta circa un metro e sessanta e pesava poco più di 40 chili. Andava molto bene a scuola, ricordano alcune sue compagne. Avrebbe voluto studiare per diventare medico, ma il padre non aveva abbastanza denaro per pagarle gli studi, né era nelle condizioni di trovare qualcuno che gli potesse fare da garante per chiedere un mutuo in banca.
A un certo punto si presentò la possibilità di far studiare Bitiya presso un istituto di scienze paramediche a Dehradun, capoluogo dell’omonimo distretto nello stato dello Uttarakhand. La ragazza iniziò a seguire un corso della durata di quattro anni e mezzo in fisioterapia nel 2008, cosa che una volta terminati gli studi le avrebbe consentito di guadagnare un buono stipendio e di dare una mano in famiglia. Le lezioni erano pomeridiane e, per pagare la retta, Bitiya lavorava in un call center dalle sette della sera alle quattro del mattino.
Uno degli insegnanti ha spiegato che, quando arrivò alla scuola, era una ragazza molto introversa, che si vestiva sempre con abiti semplici e tradizionali. Con il passare del tempo divenne più sicura di sé, lasciò il dormitorio della scuola e si trasferì in un appartamento con due amiche. Iniziò anche a collaborare per la realizzazione di coreografie e balletti nella scuola. Leggeva molto e se la cavava bene con l’inglese.
Il denaro era comunque poco e non si poteva sempre permettere svaghi e uscite con gli amici. Lavorava molto, anche, e alcune notti riusciva a dormire solo un paio d’ore. Sviluppò una passione per la moda: osservava i modelli nelle vetrine dei negozi più costosi e poi cercava di replicare gli abbinamenti, usando i vestiti che trovava sulle bancarelle dei mercati. A ottobre tornò a Delhi per cercare un posto dove lavorare come tirocinante, un passaggio necessario per completare la scuola e ottenere il diploma in fisioterapia.
Il 16 dicembre Bitiya era insieme con la sua famiglia a casa. Con la madre preparò il pranzo, poi salutò il padre che lasciò l’abitazione per andare in aeroporto in tempo per attaccare col turno delle due del pomeriggio. Chiamò un amico, un informatico di 28 anni che conosceva da anni e con cui ufficialmente non stava insieme, ha spiegato poi la famiglia. Si trovarono in un centro commerciale, fecero un giro per negozi e alla fine entrarono al cinema per vedere il film “Vita di Pi” di Ang Lee. A Bitiya piacque moltissimo, avrebbe raccontato in seguito l’amico.
Usciti dal cinema i due ragazzi salirono su un rickshaw (risciò), il classico taxi a motore a tre ruote di Delhi e di molte altre città asiatiche, e raggiunsero la zona di Munrika a sud della città, un punto ideale per prendere un autobus per tornare verso l’area residenziale in cui viveva Bitiya senza spendere troppo.
Nella stessa sera in cui Bitiya si era trovata con il suo amico, nella zona di Ravi Dass, i fratelli Ram e Mukesh Skingh avevano organizzato una piccola festa a base di alcol e di alcune pietanze di pollo. Ram lavorava come autista di autobus di linea. Furono raggiunti da Vinay Sharma, un ragazzo che lavorava in una palestra dell’area, e dal suo amico Pawan Gupta che era passato a recuperarlo a casa poco prima con un altro conoscente. Insieme ai cinque c’era anche un ragazzino. Finita la festa, i sei decisero di prendere un autobus e di utilizzarlo per una scorribanda in giro per la città.
Intorno alle nove e un quarto di sera, stando alle ricostruzioni della polizia, l’autobus di linea non in servizio usato per la scorribanda si fermò nella piazzola dove si trovavano Bitiya e il suo amico. Non sapevano che in realtà il bus fosse fuori servizio, e salirono tranquillamente a bordo pagando la corsa. Dopo qualche minuto, mentre Ram guidava, i cinque passeggeri a bordo iniziarono a fare pesanti apprezzamenti nei confronti della ragazza. Ci furono spintoni e la cosa degenerò in una rissa. L’amico di Bitiya fu colpito alla testa con una spranga e perse i sensi.
Mentre l’autobus continuava la propria corsa, la ragazza fu violentata e percossa ripetutamente dagli altri passeggeri. Poi, dopo 40 minuti, l’autista Ram accostò poco distante dall’aeroporto e i due ragazzi furono gettati, seminudi, fuori dal veicolo che riprese poi il viaggio. Bitiya rimase priva di sensi, mentre l’amico riuscì a risvegliarsi e iniziò a chiedere aiuto cercando, inutilmente, di fermare le auto di passaggio per una ventina di minuti. Sul posto accorsero infine alcuni operai che stavano lavorando in un cantiere vicino e chiamarono la polizia. I soccorsi arrivarono circa 45 minuti dopo che i due erano stati gettati a terra dai loro assalitori.
Bitiya e l’amico furono portati all’ospedale Safdarjung. La polizia informò poi la famiglia della ragazza, già in allarme da diverse ore perché non era solita tardare così tanto quando usciva con gli amici. Fu operata e le fu rimosso parte dell’intestino a causa del rischio di cancrena e per arginare una grave emorragia interna. Il 26 di dicembre fu deciso di trasferirla in un ospedale di Singapore, specializzato nel trapianto di organi. Durante il trasporto in aereo la ragazza rischiò il collasso e arrivò in condizioni estremamente critiche. Il 29 dicembre è morta a causa di un edema cerebrale.
I cinque uomini accusati dello stupro e delle violenze sono apparsi per la prima volta davanti ai magistrati lunedì 7 gennaio. Sono accusati di rapimento, violenza sessuale e di omicidio, e di altri crimini. Due di loro si sono dichiarati innocenti. Se saranno dichiarati colpevoli rischiano la pena di morte. Il sesto partecipante allo stupro di gruppo, il minorenne, sarà giudicato davanti a un tribunale per i minori. Stando alle stime fornite dal Wall Street Journal, solo a Delhi nel 2011 ci sono stati 572 casi di stupro, ma in meno della metà dei casi si è arrivati a una condanna per i responsabili. In altre zone dell’India la quantità di stupri è molto più alta. Nel Madhya Pradesh, per esempio, nel 2011 i casi segnalati di stupro sono stati 3.406, ma solo in un quarto dei casi i responsabili sono stati condannati. In seguito al caso di Bitiya, e alle numerose proteste organizzate in decine di città per chiedere più sicurezza, il governo indiano ha promesso misure più incisive per contrastare il fenomeno degli stupri e per evitare che si ripetano storie simili.