Che cos’è il “redditometro”
Cos'è e come funziona il nuovo e temuto strumento per la lotta all'evasione fiscale, di cui si parla da tempo ma che è diventato operativo in questi giorni
Venerdì 4 gennaio è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il decreto ministeriale che introduce il cosiddetto “redditometro”, uno strumento pensato per ridurre l’evasione fiscale. In sostanza il redditometro dovrebbe servire a comparare le spese di una famiglia con il suo reddito dichiarato e a segnalare se i due valori non sono coerenti. A questa analisi saranno sottoposti i redditi futuri e quelli a partire dall’anno 2009.
Da quando se ne parla
Del redditometro si parla ormai da un paio d’anni, quando nell’estate del 2010 venne approvato dal governo Berlusconi, e poi confermato dal Parlamento, il decreto legge che prevedeva la sua creazione. Ci sono voluti due anni per trasformare la legge in un decreto ministeriale che disciplina, effettivamente, l’utilizzo del redditometro.
Alcuni lo chiamano “nuovo redditometro”, perché uno strumento simile esisteva già almeno dal 1993 (in gergo è uno “strumento di accertamento sintetico”). In sostanza il “vecchio” redditometro, si basava su alcune categorie di beni registrati (essenzialmente case e automobili) dai quali, attraverso una serie di coefficienti, veniva ipotizzato un certo reddito. Si trattava di un sistema piuttosto impreciso ed inefficace.
Come funziona
Il nome “redditometro” per il nuovo strumento, in realtà, è piuttosto scorretto. Il vecchio redditometro serviva a stimare se il reddito ipotizzato dai controlli era coerente con quello dichiarato (da qui il nome). Quello nuovo invece serve a stimare le spese del contribuente e vedere se sono coerenti con il reddito dichiarato. Il nome più corretto per il nuovo strumento sarebbe quindi “spesometro”. Una volta che grazie al nuovo redditometro (o spesometro) viene scoperto uno scostamento tra il reddito dichiarato e le spese rilevate, all’interno di un margine di tolleranza del 20%, scatterà un accertamento dell’Agenzia delle Entrate.
A quel punto spetterà al contribuente dimostrare all’Agenzia che quelle spese sono giustificate: perché, ad esempio, sono state effettuate con risparmi, cioè soldi messi da parte nel corso del tempo. In questo caso, basterà dimostrare che nell’anno della contestazione si disponeva di una cifra depositata in banca pari all’importo dello “sforamento”. Ovviamente, se l’Agenzia delle Entrate non dovesse essere soddisfatta dalle spiegazioni, il contribuente può sempre ricorrere in tribunale e a quel punto spetterà al giudice decidere chi ha ragione.
Molti giornali e commentatori accusano questo meccanismo, in cui sembra che l’onere della prova spetti al contribuente, di anticostituzionalità. La questione è molto complessa: come prima cosa bisogna dire che nella Costituzione si parla, al comma 2 dell’articolo 27, di un imputato che «non è considerato colpevole sino alla condanna» e si è imputati solo nel corso di processi penali e non nelle procedure tributarie.
Il vero punto è come la giustizia consideri i risultati prodotti dal redditometro. Quelli del vecchio redditometro sono stati spesso considerati, in diverse sentenze della Cassazione, con lo status di “presunzione legale”: cioè erano già di per sé una prova valida contro il contribuente, che quindi doveva difendersi producendo prove di un ulteriore reddito con il quale aveva coperto lo sforamento dal reddito stimato dal redditometro. Il nuovo redditometro potrebbe, ma è improbabile, essere considerato con lo status di presunzione semplice, che lascia, per farla breve, molte più scappatoie al contribuente. Chi volesse provare a vedere se le sue spese sono compatibili con il suo reddito dichiarato, può provare a scaricare il Redditest, dal sito dell’Agenzia delle Entrate.
Ma come funziona in pratica il nuovo redditometro? I giornali in questi giorni scrivono che tutte le spese di un’ipotetica famiglia potranno essere usate per stimare il suo reddito e compararlo con quello effettivamente dichiarato. In effetti in questa tabella, che contiene tutti gli “elementi indicativi della capacità contributiva”, c’è proprio di tutto. Dall’abbigliamento agli elettrodomestici, passando per alimenti e le bevande, per un totale di più di 100 voci. Nel dubbio di aver dimenticato qualcosa, il decreto specifica che comunque l’Agenzia delle Entrate potrà utilizzare anche altri indicatori non presenti sulla tabella.
Il punto, che in genere i giornali dimenticano, è che le banche dati dell’Anagrafe Tributaria non dispongono delle spese di tutte le famiglie. Il giornale comprato al mattino, un pranzo fuori o un biglietto del cinema, ad esempio, non figurano in nessuna dichiarazione di cui l’Agenzia delle Entrate può disporre.
Lo scopo del redditometro, infatti, non è monitorare ogni singola spesa presente nella tabella per ogni famiglia italiana, sommare le une alle altre e compararle al redditto (cosa che sarebbe materialmente impossibile). Grazie al redditometro, però, si potrà fare una cosa abbastanza ovvia che finora non era mai stata fatta. E cioè incrociare i dati di tutte le banche dati a disposizione dell’Agenzia delle Entrate, sommando quindi tra di loro quelle spese che per qualche motivo vengono rilevate e sono presenti in qualche banca dati.
Si tratta in sostanza di acquisti di immobili, automobili e barche, pagamento di rette scolastiche, iscrizioni a club e associazioni oppure di tutte le altre spese dichiarate, quindi presenti nella dichiarazione dei redditi. Alla somma di questi dati saranno aggiunte le spese medie per famiglia stimate dall’ISTAT e divise per diverse tipologie di famiglie e diverse aree geografiche. Con questi dati, l’Agenzia delle Entrate elaborerà il totale delle spese effettuate dalla famiglia in modo più preciso che con il vecchio redditometro (che, a causa dei coefficienti, funzionava più o meno così: se possiedi un cavallo devi guadagnare almeno X).