Il netbook è morto
Lo ha ucciso Apple ed è un bene
Oltre a segnare la fine del 2012, il 31 dicembre scorso ha segnato anche la fine dei netbook, i piccoli computer portatili e molto economici sui quali i principali produttori di PC hanno puntato negli ultimi anni per rilanciare le vendite dei loro prodotti. Secondo il sito di informazione tecnologica DigiTimes, a partire da quest’anno Asus interromperà la produzione dei netbook della linea Eee PC, lanciata nel 2007 e rapidamente imitata da altri produttori. La società si limiterà a vendere le proprie giacenze e lascerà perdere questo tipo di computer, che non sta più riscuotendo un particolare interesse, soprattutto da quando esistono i tablet. Un altro grande produttore di computer portatili, Acer, non ha alcun piano per proseguire con la produzione dei netbook.
Come ricordava alcuni giorni fa Charles Arthur sul Guardian, Asus e Acer erano le ultime due società rimaste a produrre netbook, nella speranza di vendere ancora diversi milioni di dispositivi nei paesi emergenti in Asia e in Sudamerica. Gli spazi per questo tipo di prodotto si sono però ridotti, soprattutto da quando ci sono tablet e smartphone economici tra cui scegliere. Altre società come Samsung, HP e Dell avevano già smesso da tempo di produrre netbook, concentrandosi sulla vendita di computer portatili tradizionali, ma meno costosi, e sui tablet.
I netbook nacquero in un particolare momento per l’industria dei computer: a causa dell’inizio della crisi economica su scala globale le vendite di nuovi dispositivi iniziavano a ridursi sensibilmente e stava crescendo la richiesta di computer portatili più pratici da portarsi in giro, per potersi collegare con più facilità a Internet tramite le reti WiFi che si stavano diffondendo rapidamente. Asus fu tra le prime società che provò a rispondere a questa esigenza inventandosi una sorta di portatili in miniatura con schermo tra i 7 e i 9 pollici, tastiera più piccola e compatta, un minuscolo trackpad per spostare il puntatore sullo schermo e un processore poco potente, ma con il pregio di consumare poca energia per fare durare più a lungo la batteria.
A vederli, i primi netbook assomigliavano ai computer che si trovano di solito nei negozi di giocattoli, ma avevano il vantaggio di costare relativamente poco (meno di 200 euro) e di essere più leggeri e maneggevoli dei classici laptop. Richiedevano però un certo allenamento per riuscire a usare la piccola tastiera senza incartarsi sui tasti, una buona vista a causa dello schermo poco definito e una discreta dose di pazienza a causa della lentezza nell’eseguire alcuni tipi di operazioni. Per ridurre al minimo il prezzo finale, i produttori si accordarono con Microsoft per installare sui loro netbook versioni ridotte e alleggerite di Windows. C’erano comunque anche versioni con il sistema operativo Ubuntu, basato su Linux, che permettevano di avere un ulteriore risparmio grazie alla mancanza della licenza da pagare a Microsoft per Windows.
Grazie al prezzo vantaggioso e all’effetto novità, nei primi anni i netbook ebbero un notevole successo. Gli analisti produssero rapporti estremamente ottimistici, prevedendo grandi vendite per questo tipo di dispositivi negli anni a venire, anche grazie all’uscita di modelli effettivamente migliori con schermi con qualche pollice in più e tastiere più comodo. Per quello appena iniziato, per esempio, fu prevista la vendita di almeno 139 milioni di nuovi netbook, cosa che con il senno di poi appare del tutto irrealistica, considerato che tutti i principali produttori hanno abbandonato i portatili in miniatura. Ma prima dell’arrivo dei tablet, il futuro per molti erano i netbook e tutti provarono a creare propri modelli, a modo loro.
Nokia ci provò con il Booklet 3G, che aveva il pregio di avere una antenna 3G per scaricare i dati anche in movimento su rete cellulare. Ma costava diverse centinaia di euro in più rispetto ai modelli di netbook base, e non ebbe un grande successo. Le vendite di questi dispositivi per un certo periodo furono anche spinte dagli operatori telefonici: iniziarono a offrire ai loro clienti la possibilità di prendere un computer in abbonamento associato con una chiavetta 3G. La cosa per un certo periodo funzionò e portò all’attivazione di molti nuovi piani dati. Ma l’uso di un netbook con chiavetta era macchinoso e l’antenna 3G faceva aumentare il consumo della batteria, che così durava molto meno.
Seppure per un breve periodo, i netbook furono comunque un successo commerciale. Ne furono venduti milioni di esemplari, ma il modello di affari si rivelò poco vantaggioso per i produttori di computer. I margini di guadagno erano bassissimi: c’erano la necessità di mantenere i prezzi bassi e, nonostante gli accordi, quella di pagare le licenze a Microsoft per Windows con un costo che oscillava tra i 30 e i 50 dollari a seconda della versione del sistema operativo. A conti fatti, per chi costruiva i netbook rimanevano in cassa poche decine di dollari di guadagno, cosa che esponeva l’intero settore a notevoli rischi se la domanda fosse diminuita.
Nonostante fosse in corso il momento più grave per la crisi finanziaria globale, tra il 2008 e il 2009 le cose per i netbook andarono bene con una costante crescita delle vendite. Poi arrivò il 2010 e le cose peggiorarono nell’arco di un anno: negli Stati Uniti si passò da 2 a 1,5 milioni di netbook venduti. Alla fine dell’anno seguente le vendite dimezzarono ulteriormente, segnando l’inizio della crisi di questo tipo di computer. Le cose non erano andate meglio su scala mondiale: si passò dai 9 milioni di netbook consegnati a inizio 2010 a 6,2 milioni a fine 2011. Ma che cosa era successo per determinare un cambiamento così repentino?
A inizio 2010, spiegano sempre sul Guardian, Apple aveva presentato il suo primo iPad, una cosa che prima non esisteva (non fatta così, per lo meno) e che aveva molti dei pregi dei netbook senza averne i difetti. Poteva essere portato in giro facilmente, era leggero, sempre collegato a Internet, con uno schermo di dimensioni ragionevoli e ben definito e soprattutto con una durata della batteria incomparabile con qualsiasi altro netbook in commercio. Non aveva la tastiera, certo, ma in compenso aveva uno schermo che rispondeva al tocco delle dita evitando il difficile e doloroso uso dei minuscoli trackpad dei portatili in miniatura. Infine, il sistema operativo che utilizzava era stato appositamente studiato per un dispositivo fatto in quel modo, cosa che non era stata fatta fino in fondo e con completezza per i netbook.
Come ricorda Farhad Manjoo su Slate (con un articolo intitolato non casualmente “Apple ha ucciso il netbook”), Apple, in realtà, aveva iniziato molto tempo prima a preparare la trappola per decretare la fine dei netbook. Nel 2008 aveva presentato il suo primo MacBook Air, un computer portatile avveniristico per l’epoca perché ultraleggero, ma ugualmente veloce e con uno schermo ben definito. Non era un netbook e la cosa sorprese esperti e investitori, che nei mesi prima della presentazione avevano scommesso sull’arrivo di un simile dispositivo fatto da Apple. Il MacBook Air, inoltre, aveva un prezzo di partenza cinque volte quello di un netbook di fascia bassa. La novità fu accolta con scetticismo e in molti si chiesero quali spazi si sarebbe potuto ritagliare un simile computer.
In diverse interviste il cofondatore di Apple, Steve Jobs, spiegò che la sua società non avrebbe mai costruito un netbook per un semplice motivo: “Non sappiamo come fare un computer da 500 dollari che non sia un rottame. Il nostro DNA non ci lascerà mai fare una cosa del genere”. Insieme con gli altri dirigenti della società, Jobs aveva capito che il netbook era una sorta di compromesso tra due esigenze che però non aveva accontentato nessuno. Da un lato c’erano quelli che cercavano un computer con tutte le funzionalità di un portatile, ma con ingombro e peso inferiori, e che erano anche disposti a spendere molto denaro per averlo. Dall’altro lato c’erano quelli che volevano un computer da portarsi in giro per navigare e vedersi i film e non necessariamente con le classiche funzionalità di un portatile. Servivano due prodotti diversi e così fu: per i primi Apple si inventò un portatile potente e leggero, per i secondi un tablet.
Entrambi i prodotti erano certo più costosi, ma avevano qualità diverse rispetto a un netbook e rientravano perfettamente nella strategia commerciale di Apple. Come ha dimostrato negli anni, la società non cerca a tutti i costi di vendere più dispositivi rispetto alla concorrenza, ma semmai di ottimizzare al massimo i propri margini. Il modello funziona e basta prendere in considerazione gli ultimi dati finanziari di Apple per rendersene conto: vende meno dispositivi dei concorrenti in diversi settori, ma in proporzione fa molti più soldi.
Secondo Manjoo e diversi osservatori, la strategia seguita da Apple a partire dal 2008 con MacBook Air e a partire dal 2010 con iPad è stata determinante nel rendere sempre più marginali i netbook e nel condizionarne il futuro. Molti produttori negli ultimi anni hanno seguito l’esempio di Apple, inventandosi una loro versione di portatili leggerissimi e potenti, i cosiddetti “ultrabook” (il nome tecnicamente si riferisce a una specifica categoria indicata dal produttore di processori Intel), e affiancando a questi un’ampia serie di diversi tablet quasi tutti con Android, il sistema operativo per dispositivi mobili di Google. E non a caso sono proprio questi due tipi di prodotti a essere i più venduti nel settore dei personal computer.
Anche Microsoft ha seguito, a modo suo, la strada segnata inizialmente da Apple. Il suo nuovo Windows 8, in commercio dallo scorso autunno, è fatto appositamente per essere usato sia sui computer tradizionali, sia sugli ultrabook sia sui tablet. Microsoft si è poi inventata Surface, un tablet che grazie a una cover che fa da tastiera e da trackpad si trasforma in qualcosa di molto simile a un ultrabook. Altri produttori di computer hanno realizzato forme ibride tra i due sistemi, con portatili leggeri che hanno schermi che ruotano su loro stessi trasformandosi in tablet, laptop con lo schermo che può essere separato dalla tastiera e così via, senza dimenticare i Chromebook (portatili più tradizionali ed economici con un altro sistema operativo di Google orientato al solo utilizzo di applicazioni online).
Riassumendo e semplificando: chi voleva un portatile più pratico da portarsi in giro senza rinunciare alla potenza, e non era necessariamente interessato a spendere meno, ora ha gli ultrabook; chi voleva un portatile economico per navigare e vedere i video, magari spendendo meno di quanto costa un portatile, ora ha a disposizione i tablet e la possibilità (non da poco) di farci un sacco di altre cose, dai giochi alla modifica delle fotografie passando per la lettura dei libri.
Per tutte queste ragioni, dopo una breve, ma intensa, esistenza, il netbook è morto. E non se ne sentirà la mancanza.