Ancora proteste in India
Le foto delle nuove manifestazioni per la ragazza violentata e uccisa: il governo darà un indennizzo alla famiglia ma non sa bene che pesci prendere
La vicenda dello stupro di gruppo e della morte di una ragazza di 23 anni a New Delhi, la capitale indiana, continua ad essere un caso nazionale in India, in cui continuano le manifestazioni, le proteste e le pressioni del governo centrale perché vengano presi provvedimenti più efficaci contro la violenza sulle donne.
Ieri il corpo della ragazza, che è morta il 28 dicembre nell’ospedale di Singapore dove era ricoverata con gravi danni cerebrali e infezioni ai polmoni e all’addome, è stato portato in aereo a New Delhi, dove è stato accolto dal primo ministro Manmohan Singh e da Sonia Gandhi, il presidente del Partito del Congresso al governo. Poche ore dopo è stato cremato. Grandi manifestazioni nel centro di Delhi, non lontane dal parlamento, hanno ricordato la ragazza sabato e domenica con veglie e con l’accensione di candele.
I dettagli brutali e violenti dell’aggressione hanno fatto molta impressione sull’opinione pubblica indiana e la morte della ragazza era sulle prime pagine di tutti i giornali. Uno dei principali giornali indiani, il Sunday Times, ha dedicato ieri alla vicenda 13 pagine. Sei persone sono state arrestate con l’accusa di violenza sessuale e omicidio e responsabili delle autorità hanno detto che per i colpevoli sarà chiesto “il massimo della pena possibile”.
Da giorni migliaia di persone partecipano a grandi manifestazioni, in particolare a New Delhi, che chiedono un’ampia legge contro la violenza sessuale ma che renda anche più severe le pene per le molestie. Queste manifestazioni hanno a volte causato scontri con la polizia e alcune centinaia di feriti. Il problema della violenza sulle donne, molto diffuso in India e in grande crescita nei dati ufficiali degli ultimi decenni, è complicato dal fatto che spesso la polizia prova a dissuadere le vittime dal presentare denuncia (molti stati indiani non hanno neppure sezioni della polizia specifiche per questi casi) nonché dalla proverbiale lentezza della giustizia indiana, in cui le cause – comprese quelle per stupro – si trascinano per anni e anni. Di conseguenza, il tasso di sospettati che viene poi realmente condannato è molto basso.
Un rapporto di Human Rights Watch rilasciato qualche giorno fa mostra quali sono i problemi principali che impediscono la condanna e il reale contrasto della violenza. Sono cause complesse, che hanno a che fare anche con la società e la cultura indiana: nei processi per questi reati, per esempio, vengono spesso portati a prova della “promiscuità” della vittima gli esami medici secondo cui questa aveva già avuto un’attività sessuale. In molti casi parte della responsabilità della violenza viene data alla donna, che riceve pressioni per sposare il proprio aggressore (non diversamente da quanto accadeva in Italia fino a pochi decenni fa, come dimostra il celebre caso di Franca Viola): anche perché le vittime di stupro trovano successivamente grande difficoltà a sposarsi.
Che si tratti di un tema problematico è evidente anche dalle proposte che sono state avanzate per combattere il fenomeno. Un parlamentare del Rajasthan ha proposto che la risposta potrebbe essere vietare le gonne nelle scuole, un altro ha proposto che le bambine si sposino ancora prima. Altri ancora hanno chiesto l’introduzione della pena di morte per gli stupratori, mentre attualmente il codice penale indiano prevede pene che vanno dai sette anni all’ergastolo.
Il governo indiano ha detto oggi che alla famiglia della vittima verrà dato un risarcimento di 1,5 milioni di rupie, oltre 20 mila euro, oltre che un lavoro statale a un membro della famiglia. Molte celebrità e star indiane hanno annunciato di aver annullato o modificato i propri piani di feste e divertimenti per festeggiare il nuovo anno, questa sera, in segno di rispetto e di partecipazione al lutto.