Cambia poco per le finte partite IVA
La riforma del lavoro fa molto poco per combattere un fenomeno molto diffuso e difficile da definire, anche a causa di una circolare di pochi giorni fa
La riforma Fornero del mercato del lavoro (qui il testo completo) è entrata in vigore a luglio di quest’anno e contiene diverse novità: a suo tempo quella di cui si è parlato sicuramente di più (ora il tema sembra quasi scomparso dal dibattito politico), riguarda la modifica dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori del 1970. La riforma interveniva su molti altri aspetti che riguardano milioni di persone. Uno di questi è il fenomeno delle cosiddette “false partite IVA”. Oggi il Sole 24 Ore ha pubblicato un articolo dicendo che l’azione per contrastarle avrà una “partenza morbida”. Questa “morbidità”, come vedremo, si risolve più o meno nell’assenza di cambiamenti veramente rilevanti per il prossimo futuro.
Che cosa sono le false partite IVA
Le cosiddette “false partite IVA” sono una delle forme del precariato nel mercato del lavoro italiano. Partiamo dal caso più semplice e anche più irregolare. Un datore di lavoro vuole assumere un dipendente: se tutto si svolgesse regolarmente, il primo proporrebbe al secondo un contratto a tempo determinato o indeterminato. Nei casi delle false partite IVA, invece, chi lavora è “invitato” ad aprire una partita IVA e creare una “ditta individuale”, continuando a lavorare con orari e modalità concordate con un unico datore di lavoro e facendosi pagare quello che è a tutti gli effetti lo stipendio mensile emettendo una fattura per servizi o consulenze.
Facciamo un esempio concreto. Prendiamo il caso di uno studio di ingegneri: oltre ai due soci, ci sono altri tre ragazzi neoassunti che lavorano nello studio e unicamente in quello – anche perché lavorano dodici ore al giorno – che hanno però una partita IVA. Hanno orari di lavoro ben definiti, una scrivania e un posto ben definito nel funzionamento dello studio, ma il 27 di ogni mese emettono una fattura per 1.200 euro per “consulenza professionale”.
Dal punto di vista del datore di lavoro, questo comporta un vantaggio di tipo economico, perché da parte sua non ci sono tasse o imposte da pagare esclusa l’IVA (che, lo ricordiamo, è un’imposta che viene pagata da chi paga il servizio e non da chi lo eroga) e anche questa viene spesso ridotta in diversi modi, per esempio per le nuove partite IVA aperte da giovani.
Dall’altro punto di vista il lavoratore non ha diritto a nessuna garanzia tipica del lavoro dipendente, come ferie, maternità o malattia, tredicesima, buonuscita, eventuali indennità di disoccupazione eccetera ma – spesso dal punto di vista solo teorico – ha la possibilità di retribuzioni più alte, perché in sostanza il datore di lavoro ha più soldi a disposizione da dare direttamente a lui perché non paga il famoso “cuneo fiscale”, quello che il datore di lavoro paga allo Stato e agli enti previdenziali oltre ai soldi che vanno concretamente in tasca al dipendente.
Il caso che abbiamo fatto è il più chiaro: ma ci sono ovviamente quasi tante situazioni quanti sono i lavoratori interessati, con gradi crescenti di autonomia nel lavoro e minori di dipendenza dal “committente”.
Quante sono
Dato che si tratta di situazioni irregolari, non ci sono stime molto affidabili in merito al numero delle finte partite IVA nel nostro paese. Secondo i dati dell’Agenzia delle Entrate aggiornati alla fine del 2009, il numero totale di partite IVA in Italia è di circa 8,8 milioni, un numero enorme ma che comprende tutto: società di capitale, società di persone e ditte individuali. Secondo un articolo di Dario Di Vico pubblicato tre anni fa, circa 6,6 milioni erano effettivamente attive (presentavano cioè la dichiarazione fiscale alla fine dell’anno). Le ditte individuali, quelle in cui si verificano le irregolarità che ci interessano, sono oltre i due terzi del totale. Di conseguenza, un quarto circa della forza lavoro italiana lavora con una partita IVA. Una delle poche ricerche che ha provato a stimare il numero delle partite IVA irregolari, curata dall’ISFOL su dati del 2006, prima della crisi economica, ha concluso che quelle irregolari erano almeno 300-400 mila.
Che cosa fa la riforma
La riforma del lavoro ha introdotto tre criteri per individuare le finte partite IVA: collaborazione con lo stesso datore di lavoro di durata superiore a otto mesi su dodici per due anni consecutivi, collaborazione che fornisce più dell’80 per cento del reddito annuale, postazione fissa presso la sede di lavoro. Se due di questi tre criteri si verificano, allora il rapporto di lavoro è considerato automaticamente contratto di collaborazione coordinata e continuativa, un contratto che non è certo il “posto fisso” – è infatti un’altra forma di lavoro autonomo – ma ha qualche garanzia in più.
Il governo aveva in passato già parlato di un’introduzione “morbida” dei nuovi criteri e dei nuovi controlli, dicendo che si voleva evitare un’ondata di licenziamenti. Tornando all’esempio degli ingegneri, è in effetti molto probabile che, dovendo passare a pagare di più i tre ragazzi per il cambio di contratto, il datore di lavoro decida di licenziarne uno e di fare il nuovo contratto agli altri due.
Una circolare del ministero del Lavoro del 20 dicembre, pubblicata dal Sole 24 Ore, ha chiarito quanto sarà “morbida” l’introduzione. Per prima cosa, i controlli partiranno solo da due anni dopo l’entrata in vigore della riforma, ovvero dal 18 luglio 2014. In secondo luogo, come già in parte previsto dal testo, ci sono alcuni casi in cui il controllo non può semplicemente essere fatto, perché, come dice la circolare, “la presunzione non opera”:
– se la prestazione di lavoro è svolta da un iscritto a un ordine professionale, come avvocati, ingegneri, giornalisti, architetti, medici, psicologi eccetera (e quindi i tre ragazzi dell’esempio iniziale non verranno mai controllati, almeno dal ministero del Lavoro); è possibile che il senso di questa esclusione stia nel delegare il controllo agli ordini professionali e ai loro organi, lasciando quindi tutto come prima, per quelle categorie di lavoratori.
– se il lavoratore guadagna più di 18.662 euro l’anno e contemporaneamente è in possesso di “competenze teoriche di grado elevato” oppure “rilevanti esperienze”. La circolare chiarisce che queste “competenze” possono anche essere una laurea o un diploma di scuola superiore.
In conclusione
In conclusione, con la nuova riforma del lavoro viene fatto – verrà fatto, in realtà, perché i controlli saranno nel 2014 – concretamente poco per ridurre il fenomeno delle partite IVA: come dice la circolare, le misure sono rilevanti soprattutto perché introducono il meccanismo di “presunzione”, cioè che in alcuni casi tocchi al datore di lavoro dimostrare che un titolare di partita IVA lavora veramente con l’autonomia e l’indipendenza previste dalla legge. Le finte partite IVA sono e restano irregolari, perché il lavoro che svolgono è evidentemente quello descritto dall’articolo 2094 del Codice civile, che definisce il lavoro dipendente, e non quello dei lavoratori autonomi.