Chi era Norman Schwarzkopf
Foto e storia del generale americano morto ieri: guidò gli USA nella prima guerra del Golfo, fu definito un uomo «con la spavalderia di John Wayne e il ringhio di un grizzly»
Giovedì 27 dicembre è morto il generale statunitense Norman Schwarzkopf, famoso per aver guidato le forze alleate nella prima guerra del Golfo, nel 1991. Schwarzkopf è morto a Tampa, in Florida, a 78 anni: era sposato e aveva due figlie e un figlio. Nel confermare la notizia della sua morte, avvenuta per le complicazioni di una polmonite, il ministro della Difesa americano Leon Panetta lo ha definito «uno dei grandi soldati militari del Ventesimo secolo».
H. Norman Schwarzkopf Junior nacque a Trenton, in New Jersey, nel 1934, e gli venne dato lo stesso nome del padre, un generale di divisione laureato all’accademia militare di West Point. Il padre aveva combattuto nella Prima guerra mondiale ed era diventato poi il capo della polizia del New Jersey: nel corso della sua carriera fu anche a capo delle indagini sul rapimento di Baby Lindbergh, il figlio dell’aviatore Charles Augustus Lindbergh, uno dei casi di cronaca americana più seguiti del Ventesimo secolo. Da adolescente Schwarzkopf raggiunse il padre in Iran, dove si trovava per aiutare lo scià Mohammad Reza Pahlavi ad addestrare le forze di polizia. Studiò in un collegio in Svizzera e poi tornò negli Stati Uniti per iscriversi anche lui a West Point, dove si laureò nel 1956. Dieci anni dopo si arruolò volontario per il Vietnam, dove prestò servizio per due volte meritandosi tre medaglie d’argento e una di bronzo al valor militare.
Nel 1988 divenne capo del Comando centrale americano, con il compito di coordinare le operazioni militari nel Corno d’Africa, in Medio Oriente e nell’Asia meridionale. Quando il 2 agosto 1990 il dittatore iracheno Saddam Hussein invase il Kuwait, Schwarzkopf guidò l’operazione Desert Shield per impedire che l’Iraq invadesse anche l’Arabia Saudita. Il 17 gennaio del 1991 Schwarzkopf fu posto al comando della coalizione di circa trenta paesi organizzata dal presidente americano George H.W. Bush allo scopo di liberare il Kuwait dall’occupazione irachena. Guidò circa 700 mila soldati, tra cui più di 540 mila americani, nell’operazione Desert Storm: dopo sei settimane di bombardamento aereo e un’offensiva terrestre di circa cento ore, dal 24 al 28 febbraio, la coalizione costrinse Saddam Hussein alla resa.
Schwarzkopf fu celebrato come un eroe negli Stati Uniti e in molti paesi occidentali: comparve sulle prime pagine dei più importanti giornali e riviste del mondo, fu accolto con una parata a New York al suo ritorno a casa e il Congresso americano lo accolse al Campidoglio con una standing ovation. Ricevette anche molte medaglie e decorazioni in giro per il mondo, e la regina Elisabetta II lo proclamò sir.
Prima della guerra Schwarzkopf era sostanzialmente sconosciuto all’opinione pubblica americana, ma divenne ben presto famoso grazie anche alle numerose conferenze stampa con cui spiegava in modo schietto e diretto l’andamento della guerra. Un’inviato di Time dell’epoca lo descrisse come un uomo «con la spavalderia di John Wayne e il ringhio di un grizzly», mentre diventava sempre più famoso con il soprannome datogli dai soldati: “Stormin’ Norman”. Schwarzkopf ricevette anche alcune critiche – che aumentarono con gli anni – per aver deciso di ritirare in fretta e furia l’esercito e lasciar tornare Saddam Hussein al potere, anziché approfittarne per spodestarlo del tutto: negli anni seguenti lo stesso generale ammise che se avesse agito diversamente si sarebbe potuto evitare quanto era accaduto, riferendosi alla guerra in Iraq del 2003.
Schwarzkopf andò in pensione nell’agosto del 1991, a pochi mesi dalla fine della guerra nel Golfo. Gli venne proposto di candidarsi al Senato in Florida e si parlò anche di una sua eventuale candidatura per la presidenza degli Stati Uniti, ma Schwarzkopf si oppose sempre a un suo coinvolgimento in politica, ritenendosi inadeguato. Indipendente dichiarato, sostenne la candidatura alla presidenza di George W. Bush nel 2000 e nel 2004, ritenendolo più adeguato dell’avversario John Kerry a guidare la guerra al terrorismo. Fu anche a favore dell’invasione dell’Iraq nel 2003, salvo poi criticare il modo in cui il Pentagono aveva condotto le operazioni militari, tra cui la decisione di inviare truppe non adeguatamente addestrate.
Dopo essersi ritirato a vita privata ha scritto un’autobiografia, It Doesn’t Take A Hero, ha fatto l’opinionista su questioni militari per la rete televisiva NBC e si è dedicato soprattutto a fare beneficenza. «Sono diventato famoso come generale dell’esercito», disse una volta all’Associated Press, «ma ho sempre pensato di non avere una sola dimensione. Mi piace pensare che mi sto dando da fare per gli essere umani. È bello sentire di avere uno scopo».