L’omicidio di Benazir Bhutto, 5 anni fa
Fu due volte capo di governo del Pakistan, la prima donna premier nel mondo islamico, ma ebbe una vita complicata: la storia e le foto
Il 27 dicembre di cinque anni fa, nella città pakistana di Rawalpindi, fu uccisa a 54 anni Benazir Bhutto, la prima e unica donna a diventare primo ministro del Pakistan. Quel giorno, Bhutto aveva appena concluso l’ultimo comizio elettorale del suo partito, il PPP (Partito Popolare Pakistano), in vista delle elezioni politiche che si sarebbero tenute di lì a due settimane. Stava lasciando il luogo del comizio e salutava le decine di migliaia di suoi sostenitori sporgendosi dal tettuccio di una jeep bianca blindata, quando la raggiunsero due colpi di arma da fuoco. Poi un attentatore suicida si fece esplodere a fianco della sua auto. Trasportata d’urgenza in ospedale, morì poco tempo dopo. Insieme con lei morirono almeno altre venticinque persone.
L’omicidio di Benazir Bhutto avvenne in un luogo simbolico per molti motivi. La manifestazione elettorale si era tenuta al Liaquat Bagh, un parco tradizionalmente sede di raduni politici e discorsi pubblici. Il nome del posto viene da un altro primo ministro pakistano ucciso in quel luogo: Liaquat Ali Khan, il primo premier del paese, cui spararono due colpi di pistola nell’ottobre del 1951, dopo un altro raduno politico. E Rawalpindi è la città in cui hanno sede le forze armate pakistane, che nella breve vita del paese hanno sempre avuto un ruolo di primo piano, diretto o indiretto, nella gestione del governo.
Al momento della sua morte, Bhutto era la leader di uno dei principali partiti dell’opposizione al governo del presidente e capo dell’esercito Pervez Musharraf, che era arrivato al potere con un colpo di stato nel 1999. Era appena ritornata in Pakistan per partecipare alle elezioni: nel 1999, infatti, aveva lasciato il paese per otto anni di esilio auto-imposto prima a Dubai e poi a Londra, mentre su di lei venivano avviati processi per corruzione.
Il 18 ottobre 2007, dopo aver raggiunto un accordo con Musharraf, Bhutto sbarcò all’aeroporto di Karachi. Mentre si dirigeva al luogo della sua prima apparizione pubblica dopo molti anni, con decine di migliaia di persone ad accoglierla lungo le strade, due forti esplosioni colpirono il suo corteo, uccidendo quasi 140 persone – molte delle quali del servizio d’ordine del PPP, che avevano fatto una sorta di catena umana intorno a lei – ma lasciandola illesa.
Il ritorno in Pakistan di Benazir Bhutto era il ritorno sulla scena politica di una delle famiglie più potenti del paese e con un grande patrimonio di popolarità. Il padre di Benazir, Zulfiqar Ali Bhutto, fu il leader del paese dal 1971 al 1977, quando venne rovesciato da un colpo di stato militare. Veniva da una grande famiglia di proprietari terrieri, che poteva permettersi di mandarlo a studiare a Berkeley e a Oxford. Era di famiglia sciita – la bandiera del PPP ha i colori tradizionali dell’Islam sciita, nero, rosso e verde – e in Pakistan la religione è un altro elemento fondamentale, anche nel discorso politico. Ma Zulfiqar Ali Bhutto aveva un atteggiamento estremamente laico sulle questioni religiose e i suoi discorsi (era noto per la sua abilità retorica) insistevano piuttosto sul richiamo alla giustizia sociale.
Il suo partito, il PPP, si richiamava ai principi di un socialismo laico e nazionalista, anche se con buone dosi di populismo. Dopo sei anni al potere, prima come presidente e poi come primo ministro, Zulfiqar venne destituito in un colpo di stato guidato da alcuni generali sunniti dell’esercito. Da tempo, il sentimento religioso in Pakistan si stava radicalizzando sotto l’influenza degli esponenti sunniti più fondamentalisti, cambiando lentamente l’identità nazionale. Zulfiqar Ali Bhutto venne ucciso per impiccagione nel 1979, sulla base di discusse accuse di omicidio di un avversario politico.
Nel frattempo, Benazir aveva studiato a Harvard e a Oxford e aveva pubblicato un libro sulla politica estera: ma alla morte del padre ritornò in Pakistan e venne messa ai domiciliari. Cinque anni dopo le fu permesso di lasciare il paese e di andare nel Regno Unito: ritornò due anni dopo, nel 1986, per guidare il PPP fondato da suo padre quasi vent’anni prima. Nell’agosto del 1988, il capo del regime militare che aveva destituito suo padre, Muhammad Zia-ul-Haq, morì insieme ad altri generali e all’ambasciatore americano in Pakistan, e alle elezioni di due mesi dopo il PPP di Benazir Bhutto vinse con circa il 40 per cento dei voti.
Benazir Bhutto, a 35 anni, diventò la prima donna eletta primo ministro in tutto il mondo musulmano. Il suo governo, però, durò solo venti mesi: nel 1990 venne destituita dopo un lungo scontro con il presidente del Pakistan Ghulam Ishaq Khan, che Bhutto accusava di essere alleato con l’opposizione del conservatore Nawaz Sharif. Cominciò una lotta tra le forze politiche e giudiziarie del paese tipica anche degli anni successivi: i protagonisti furono il presidente, il primo ministro, l’esercito e la Corte Suprema, schierati su posizioni diverse e spesso mutevoli. Per la parte che ci interessa, Bhutto andò nuovamente all’opposizione e Sharif divenne primo ministro.
Ma nel 1993 il PPP vinse di nuovo le elezioni e Bhutto tornò al potere, per restarci fino al 1996: nuove accuse di corruzione, nuove indagini sul suo conto e sul marito, nuovi scontri e alleanze dietro le questioni giudiziarie e formali con i soliti complessi attori della politica interna pakistana (senza contare tutto quello che succedeva intorno, come la presenza dei talebani nelle zone al confine con l’Afghanistan e i rapporti difficili con l’India). Nel 1998, Bhutto abbandonò di nuovo il Pakistan e si trasferì a Dubai, mentre suo marito finì in carcere. Il suo ultimo ritorno fu possibile grazie ai negoziati intrattenuti con il presidente Musharraf, che aveva il primo e più grave problema di combattere l’aumento dell’estremismo religioso nel paese.
Ancora oggi, la famiglia Bhutto è un elemento fondamentale per il PPP, con i suoi “due martiri” – Zulfiqar e Benazir – e un’influenza politica che è ancora molto chiara, anche se logorata dagli ultimi anni al potere: oggi, nell’anniversario dell’attentato, il figlio 24enne di Benazir, Bilawal Bhutto Zardari, ha annunciato che entrerà in politica e ha tenuto il suo primo comizio a Larkana, vicino al mausoleo di famiglia.
Il vedovo di Benazir, Asif Ali Zardari, è dal 2008 il presidente del paese, eletto due mesi dopo l’assassinio della moglie, anche se oggi la sua popolarità è ai minimi per la nota corruzione del suo governo. Zardari è conosciuto da anni come “mister 10%”, dalla percentuale che richiedeva per gestire gli appalti pubblici durante il governo della moglie, e ha alle spalle diverse indagini e condanne per corruzione. La comparsa sulla scena di Bilawal significa probabilmente l’arrivo di una “terza generazione” di Bhutto sulla scena politica pakistana e nel PPP in particolare.
Nessuno è mai stato condannato per l’omicidio di Benazir Bhutto. Al Jazeera scrive che il PPP ha annunciato la pubblicazione dei nomi delle persone responsabili: una mossa che ha un chiaro significato politico, nel complicato Pakistan.
La famiglia Bhutto e il PPP mantengono la posizione “ufficiale” che Benazir sia stata uccisa da esponenti delle famiglie talebane che vivono in Pakistan, mentre sei mesi fa Bilawal ha detto che in realtà la responsabilità dell’omicidio è del regime di Musharraf, che avrebbe fatto finta di non sapere dei piani per uccidere “BB” – come è spesso chiamata in Pakistan – al suo rientro in patria. Benazir aveva spesso preso posizione contro il fondamentalismo religioso; ma un’indagine delle Nazioni Unite, conclusa nel 2010, ha confermato anche che le misure di sicurezza predisposte dal governo erano gravemente insufficienti e che la cosa era probabilmente voluta.
Da parte del governo pakistano di Musharraf, in carica al momento dell’attentato, il responsabile è indicato nel capo talebano Baitullah Mehsud, che da parte sua si dichiarò innocente: è possibile che la verità non si sappia mai, perché Mehsud venne ucciso da un drone americano nell’agosto del 2009.