Il futuro del Manifesto
Un editoriale firmato da 41 persone sul giornale di ieri racconta gli ultimi mesi, piuttosto complicati, la liquidazione coatta e la nuova cooperativa
Sul Manifesto di domenica un articolo firmato da 41 persone tra giornalisti, poligrafici e collaboratori racconta gli ultimi faticosi mesi del quotidiano, con la liquidazione coatta e i molti rilevanti addii, da Rossana Rossanda in poi, e la fondazione della nuova cooperativa attraverso cui passerà il futuro del giornale.
La storia della nostra cooperativa è finita. Entro domani i liquidatori riceveranno le «proposte vincolanti» di chi è interessato all’acquisto della testata. Care lettrici e lettori, care compagne e cari compagni, tra quindici giorni gli abbandoni, gli addii polemici, le porte sbattute, le dimissioni alle quali vi abbiamo fatto assistere nelle ultime settimane finiranno necessariamente.
È un esito triste eppure conosciuto da tempo. Ve lo abbiamo raccontato passo dopo passo. Abbiamo scelto la strada della liquidazione coatta amministrativa all’inizio di quest’anno. A indicarcela, come unico approdo possibile della crisi finanziaria, è stato l’ultimo consiglio di amministrazione della cooperativa: Valentino Parlato presidente ed Emanuele Bevilacqua amministratore delegato. Per dieci mesi, da febbraio a oggi, e per la prima volta in quarantuno anni di storia, tre persone sconosciute hanno gestito i nostri conti. A tutela dei nostri creditori.
Questo ha comportato due conseguenze pratiche. Gli stipendi dei dipendenti di questa cooperativa – 1.200 euro al mese – sono stati ridotti di un terzo dalla cassa integrazione. Allargata e pesante: ognuno di noi ha rinunciato a lavorare almeno per quattro mesi su dieci. Se non ve ne siete accorti troppo, cari lettori, è perché anche dalla cassa integrazione abbiamo cercato – volontariamente – di sorreggere in qualche modo l’impresa folle di mandare in edicola un giornale sottoposto alla liquidazione. Un azzardo mai tentato e persino sconosciuto come ipotesi nel momento in cui la liquidazione è cominciata.
Eppure chissà come, al prezzo di errori e stress (due cose che hanno sicuramente avuto un peso nei nostri litigi), ci siamo riusciti. È solo per questo che oggi possiamo ancora immaginare un futuro per il manifesto. Perché malgrado tutti i suoi acciacchi il giornale c’è, lo avete in mano, è ancora vivo.
La seconda conseguenza della liquidazione è stata che all’improvviso non abbiamo avuto più un euro a disposizione per le spese del quotidiano. La carta delle stampanti si può riciclare girando il foglio, qualche piccolo viaggio è stato possibile farlo contando sulla solidarietà degli amici, ma a tantissimo abbiamo dovuto rinunciare. Molte storie le abbiamo seguite da lontano. Il risultato è stato un giornale più povero, anche perché non abbiamo pagato i nostri collaboratori, molti già rassegnati a non vedere mai un soldo.
I collaboratori sono l’altra metà del manifesto , insieme a noi hanno disegnato negli anni il profilo di questa impresa politica ed editoriale. La gran parte di loro ha continuato a scrivere per noi, accettando di farlo gratuitamente. Alcuni hanno dovuto smettere e altri ancora hanno deciso di portare altrove il loro talento.
Avete letto le loro ragioni su queste pagine (non solo su queste pagine). Ovviamente sono tutte rispettabili e da noi rispettate: chiunque abbia collaborato al manifesto meriterebbe solo per questo ogni bene, altro che la porta chiusa dalla liquidazione. Si è trattato però, questo dobbiamo scriverlo con chiarezza, sempre di una scelta che non abbiamo voluto e che ci ha fatto male. Soprattutto quando è arrivata all’ultimo miglio di una lunga strada percorsa assieme.