Come la pensa Napolitano
Il testo integrale del discorso di oggi sulla fine anticipata della legislatura, il bilancio del governo Monti e su chi darà l'incarico al prossimo presidente del Consiglio
Giorgio Napolitano ha rivolto oggi al Quirinale uno dei suoi ultimi rilevanti discorsi da presidente della Repubblica, peraltro in una fase politica piuttosto delicata, durante la tradizionale cerimonia di auguri alle alte cariche dello Stato. Napolitano ha parlato diffusamente della crisi politica delle ultime settimane e ha detto che, contrariamente a quanto si era affermato negli ultimi mesi, anche a fronte della fine anticipata della legislatura sarà a lui a dare l’incarico al nuovo presidente del Consiglio e non si dimetterà prima della fine del suo settennato.
***
A voi tutti rivolgo il più cordiale saluto e ricambio vivissimi auguri per Natale e il Nuovo Anno. Uno speciale ringraziamento a lei, Presidente Schifani, non solo per i generosi apprezzamenti indirizzati alla mia persona ma per quel comune sentire manifestatosi e radicatosi sempre di più nel rapporto tra noi, nell’esercizio – insieme col Presidente della Camera – di responsabilità condivise al vertice delle istituzioni repubblicane.
Signore e Signori, ci incontriamo questa volta alla vigilia della conclusione della XVI legislatura. E se è solo con lieve anticipazione rispetto alla scadenza naturale che stanno per essere sciolte le Camere, brusca è stata di certo l’accelerazione impressa dall’annuncio, l’8 dicembre scorso, delle dimissioni del Presidente del Consiglio Monti. Questi ha ritenuto di non poter continuare nella sua azione di governo, dopo che il PdL – il maggiore dei tre partiti sul cui consenso e sostegno in Parlamento essa si fondava – aveva deciso di astenersi dalle previste votazioni di fiducia considerando conclusa l’esperienza del governo nato nel novembre del 2011.
Quando, fin dall’inizio di questo autunno, avevo colto i segni del crescere di difficoltà e tensioni nei rapporti tra le forze di maggioranza e tra queste e il governo, mi ero premurato di rivolgere pubblicamente l’invito a “una costruttiva conclusione della legislatura ancora in corso, così da portare avanti la concreta attuazione degli indirizzi e dei provvedimenti definiti dal governo e sottoposti al Parlamento”. Ero ben consapevole della pressione che su formazioni politiche tra loro diverse e concorrenti esercitava l’avvicinarsi delle elezioni per il nuovo Parlamento, e che esercitava anche l’acuirsi di un diffuso disagio economico e sociale. E tuttavia ritenevo necessario adoperarmi perché il responsabile impegno di quanti avevano garantito al governo Monti la maggioranza in Parlamento, potesse continuare fino al completamento di un ciclo di attività il cui limite era comunque segnato dall’esaurirsi della XVI legislatura entro l’aprile 2013.
Il mio invito e il mio sforzo erano motivati dalla convinzione, che mi ha guidato nell’esercizio del mio mandato di Presidente, del grande, decisivo valore per il nostro paese della continuità e stabilità istituzionale. Un valore spesso trascurato nel corso della nostra storia repubblicana, (e per quanti, me compreso, ne siano stati partecipi, potrei dire: scagli la prima pietra chi non l’ha trascurato).
Fui mosso da quella convinzione quando nell’autunno del 2011, dinanzi al venir meno della coesione effettiva della maggioranza e della compagine di governo guidate dall’on. Berlusconi, mi studiai di evitare l’aprirsi in modo traumatico di un vuoto istituzionale e il precipitare verso elezioni anticipate in una fase critica e pericolosa per la posizione, non solo finanziaria, dell’Italia. Non occorre ricordare come si giunse allora a una nuova soluzione di governo, fuori dell’ordinario ma non senza precedenti, e certo nell’ambito costituzionale della democrazia parlamentare in quanto al Parlamento si rimettevano le sorti dell’esecutivo e di ogni provvedimento di legge da esso deliberato. E d’altronde non è forse bastato il ritiro della fiducia di una componente essenziale della maggioranza per segnare la fine del governo presieduto dal senatore Monti?
Questa conclusione non piena, questa interruzione in extremis dell’esperienza iniziata 13 mesi orsono, non può tuttavia oscurarne la fecondità, al di là del rammarico e della preoccupazione che il suo brusco esito finale ha suscitato anche in chi vi parla in quanto Capo dello Stato.
I giudizi sui risultati ottenuti in un campo o nell’altro possono legittimamente divergere, e può darsi che si facciano ancor più divergenti, magari nell’imputazione delle rispettive colpe, tra le forze politiche nel fuoco della battaglia elettorale. E’ eccessivo mettere in guardia, come in questo momento faccio, perché in quel fuoco polemico non si bruci il recupero di fiducia nell’Italia che si è manifestato negli ultimi tempi in Europa, nella comunità internazionale e negli stessi, pur poco trasparenti, mercati finanziari? Attenzione, in giuoco è il paese, è il nostro comune futuro, e non solo un fascio di voti per questo o quel partito.
D’altra parte, nessuno dei soggetti politici che hanno fino a ieri fatto vivere e operare questo governo, dovrebbe avere interesse ad annullare il contributo dato anche a prezzo di limiti, sacrifici e rischi responsabilmente accettati. Ricordiamolo, e vorrei che a ciò prestasse ascolto anche il mondo dell’informazione: partiti e Parlamento, bersagli abituali di critiche fondate ma anche di attacchi distruttivi basati su molte approssimazioni e omissioni, hanno dato prova di un assai elevato senso di responsabilità per aspetti essenziali. Dopo aver reso possibile, a larga maggioranza, la nascita di un governo di cui non avevano ritenuto di far parte, i tre partiti che hanno scelto di sorreggere l’impegno del governo Monti, hanno approvato, con un alto numero di voti di fiducia e in tutte le votazioni ordinarie, provvedimenti severi sul piano del rigore fiscale e sul piano delle riforme coerenti con un comune disegno europeo: li hanno approvati, dopo averli discussi nella loro complessità (e, talvolta, ridondanza normativa), modificandoli incisivamente. Lo hanno fatto il Popolo delle Libertà, il Partito Democratico, l’Unione di Centro per il Terzo Polo.
Il bilancio della legislatura che sta per chiudersi andrà fatto con grande attenzione: ben valutando tutte le innovazioni introdotte nel nostro ordinamento per effetto e nel quadro di intese intervenute in sede europea. E non parlo solo dell’ultimo anno: basti ricordare la legge 196 del 2009 e la legge 39 dell’aprile 2011, che hanno radicalmente modificato la normativa riguardante il ciclo di bilancio. Il Parlamento ha poi, più di recente, approvato – redigendola con grande ponderazione – la legge di riforma costituzionale (la sola importante adottata in questi 5 anni) che ha introdotto nella nostra Carta fondamentale, all’art. 81, il principio del pareggio di bilancio : e saluto lo sforzo grazie al quale in questi giorni se ne stanno varando le norme di attuazione.
Un attento consuntivo dell’attività della XVI legislatura dovrà considerare anche altri risultati legislativi non riguardanti la sfera economico-finanziaria, e poco valorizzati se non ignorati.
Ma ben più complesso e critico è il discorso da fare oggi rispetto all’evoluzione del sistema politico. In questi giorni, sulle colonne di un quotidiano, si sono amichevolmente richiamate le aspettative che un anno fa – in occasione di questo stesso tipo di tradizionale incontro – avevo enunciato. L’aspettativa, soprattutto, che – avviandosi e consolidandosi un clima più disteso nei rapporti politici – si producesse un sussulto di operosità riformatrice e anche un moto di rinnovamento dei partiti, del loro modo di essere, del loro rapporto con i cittadini e con la società. Si trattava – debbo dire oggi – di aspettative troppo fiduciose o avanzate, rispetto alle quali si è fatto sentire tutto il peso di resistenze ed ostacoli profondamente radicati, di antichi ritardi, di lenti e stentati processi di maturazione.
Lo dico con amarezza e preoccupazione, perché vengono da ciò alimentati il corso limaccioso dell’antipolitica e il qualunquismo istituzionale. Per le più che mature riforme della seconda parte della Costituzione, quella ora giunta al termine è stata purtroppo un’altra legislatura perduta : anche modeste modifiche mirate, frutto di un’intesa minima, sono naufragate. Il tema dei costi ovvero del finanziamento della politica, e quello connesso dei trattamenti riservati ai parlamentari, hanno formato oggetto di decisioni discutibili ma non trascurabili e da non svalutare, la cui eco è stata però soverchiata dal clamoroso esplodere di indegni abusi di danaro pubblico commessi da numerosi eletti nei Consigli Regionali.
E’ in effetti rimasta ancora in larga misura da percorrere – e non solo sotto il profilo della moralità – la strada di una riqualificazione dei partiti politici, secondo regole coerenti col dettato costituzionale. Non sono mancati, è vero, stimoli e aperture a una maggiore partecipazione politica dei cittadini. Ma il fatto imperdonabilmente grave è stato il fallire la prova della riforma della legge elettorale del 2005, su cui pure la Corte Costituzionale aveva sollevato seri dubbi di legittimità. Forte, motivato, tenace è stato il richiamo da parte di tante voci della società civile e del mondo del diritto, e – quante volte ! – da parte del Presidente della Repubblica : ma più forte è stato il sopravvivere delle peggiori logiche conflittuali tra le forze politiche. Diffidenza reciproca, ambiguità di posizioni continuamente mutevoli, tatticismo esasperato : nessuno potrà fare a meno di darne conto ai cittadini-elettori, e la politica nel suo insieme rischia di pagare un prezzo pesante per questa sordità.
Si andrà così al confronto elettorale, mentre il governo dimissionario provvederà, nell’ambito dei suoi poteri, ad attuazioni dovute di leggi già in vigore. Ma non si pensi di poter nascondere agli elettori tutto quel che è rimasto irrisolto di decisivi nodi politico-istituzionali venuti al pettine più che mai nel corso dell’ultimo anno. Essi si sono presentati in un tale intreccio e groviglio che anche interventi generosamente tentati con il concorso di un governo a termine e dominato da assorbenti emergenze come quello presieduto da Mario Monti, hanno sortito effetti solo iniziali o sono stati neutralizzati nella stretta finale della legislatura.
Due esempi : si è aperto con determinazione e accortezza – ma è stato solo un inizio – il capitolo di norme più efficaci contro la corruzione, fonte di ormai insopportabile discredito e danno per il nostro paese. Si è portato avanti un faticoso esercizio di revisione del pletorico retaggio storico delle Province, ma non ce la si è fatta a giungere al traguardo.
E dunque, in materia di giustizia, non soltanto importanti istanze di cambiamento e di riforma sono rimaste solo iscritte all’ordine del giorno, ma ci si è trovati dinanzi a opposizioni e ripensamenti tali da mettere in forse la legge già approvata alla Camera per l’introduzione di pene alternative alla detenzione in carcere. Sta per scadere il tempo utile per approvarla al Senato : ma con quale senso di responsabilità, di umanità e di civiltà costituzionale ci si può sottrarre a un serio, minimo sforzo per alleggerire la vergognosa realtà carceraria che marchia l’Italia?
Comunque, quel che attende governo e Parlamento, Regioni e Comuni, quel che attende gli italiani, è un’opera di lunga lena. E quello dei prossimi 5 anni è un tempo congruo per intraprendere cambiamenti e riforme di cui ha bisogno innegabile il nostro paese per posizionarsi con successo nell’Europa e nel mondo di domani. Guai se di tutto ciò che questo significa non maturasse una consapevolezza più diffusa di quanto non sia accaduto finora. Dovrebbe darne il segno già l’imminente competizione elettorale : nell’orizzonte di medio termine che la nuova legislatura presto aprirà, sarà possibile perseguire indirizzi e programmi di sufficiente respiro e gradualità, in campo politico e istituzionale – vi ho fatto già cenno – e in campo economico e sociale.
Stiamo passando un guado molto faticoso, per portare l’Italia fuori dal pantano di un soffocante indebitamento pubblico, per giungere a porre lo sviluppo del paese su fondamenta più solide e, in tutti i sensi, più equilibrate, per guadagnare in dinamismo e coesione. La fatica cui sono sottoposte, per la durezza degli obbiettivi di bilancio da realizzare nel 2013-2014, le nostre strutture pubbliche e le fasce più deboli della popolazione, non sempre si calcola nello scrivere i numeri quando si preparano le leggi da votare. Ma la dobbiamo sentire come nostra, ed è una condivisione che è importante si esprima da parte di tutti noi che abbiamo la responsabilità di guidare le istituzioni.
Parlo della fatica di chi amministra a più diretto contatto con i cittadini e i loro bisogni ; della fatica di chi si sforza di salvaguardare l’impresa che ha costruito e che vede vacillare ; della fatica sociale, che percorre l’ampio universo di quanti reggono la famiglia con redditi insufficienti, e in misura crescente scivolano nella povertà ; di quanti si dibattono nell’insicurezza del lavoro se non l’hanno già perduto ; di quanti, soprattutto giovani, sono bloccati in uno stato di disoccupazione senza vedere come uscirne.
Paghiamo – e anche tanti incolpevoli pagano – le conseguenze di orientamenti e comportamenti miopi o irresponsabili, trascinatisi nel passato troppo a lungo. Ma se vogliamo venirne a capo – e possiamo e dobbiamo farlo – s’impongono una stagione di rigore e insieme un nuovo slancio di laboriosità e unità. Si sta anche in questi ultimi, strettissimi giorni di attività parlamentare, cercando di tener conto della “fatica sociale” che ho appena evocato. Ma ci sarà poi da vigilare sugli sviluppi della situazione nel corso del prossimo anno, ed eventualmente da intervenire ancora.
La recessione si prolunga e pesa. La realtà attuale e le tendenze all’ulteriore aumento della disoccupazione ci allarmano. Ci allarma la condizione così vulnerabile del Mezzogiorno. Categorica è dunque la necessità di cogliere tutti gli spiragli compatibili col riequilibrio finanziario per rilanciare crescita e occupazione. In Italia e in Europa : perché è solo nel quadro dell’area Euro e dell’Unione che può realizzarsi una ripresa della domanda, degli investimenti, delle occasioni di lavoro per i giovani, attraverso il massimo inserimento nel moto di sviluppo dell’economia mondiale.
Intanto, per quel che riguarda specificamente l’Italia, saranno da verificare le ricadute positive sull’economia che ci attendiamo dai provvedimenti di riforma, di semplificazione e di stimolo adottati dal governo e dal Parlamento, fino al decreto sviluppo appena varato in via definitiva. Ed è da verificare il decollo di politiche pubbliche annunciate per le infrastrutture, la casa, la messa in sicurezza del territorio, l’ambiente, la ricerca e l’innovazione ; nonché la portata di una ripresa d’attenzione per la politica industriale, partendo dalle situazioni più critiche che presentano diversi settori, oggi innanzitutto – per complesse ragioni – la siderurgia.
Aggiungo che benefici rilevanti è lecito aspettarsi da un impegno comune di tutte le forze rappresentative – e in quel “tutte” vorrei si cogliesse un mio forte appello al superamento di dannose divisioni e negatività – del mondo delle imprese e del mondo del lavoro per quell’elevamento della produttività e della competitività di cui il nostro sistema industriale ed economico ha acuto bisogno.
In quanto all’Europa, il tema del rilancio della crescita e dell’occupazione è balzato in primo piano a Bruxelles nel Consiglio dello scorso giugno, attraverso un dibattito più aperto e ricco di cui il governo italiano e per esso il Presidente Monti è stato tra i promotori e i protagonisti.
Si è quindi lavorato, fino al Consiglio Europeo della scorsa settimana, alla definizione di un percorso di più avanzata integrazione, sul piano finanziario, delle politiche di bilancio e delle politiche economiche, in un quadro di rafforzamento della legittimità e controllabilità democratica. Un tale percorso, disegnato nel rapporto del Presidente Van Rompuy, e destinato a sfociare in un’autentica Unione Politica, si giova della relativa stabilizzazione delle condizioni di mercato e dell’accresciuta fiducia nella stabilità dell’area Euro, cui hanno grandemente contribuito la determinazione e le scelte espresse già in luglio dal Presidente della Banca Centrale Europea Mario Draghi. A vent’anni dal Trattato di Maastricht, si è dunque messo mano al completamento dell’edificio della moneta unica e dell’allora annunciata, ma solo delineata, Unione Economica e Monetaria.
E’ questo il quadro nel quale va visto il più netto e forte impegno a promuovere crescita e occupazione che viene sollecitato da parte dell’Italia come di altri Stati membri. Tale impegno non può in alcun modo prescindere dal proseguimento di politiche di correzione dei conti pubblici, dolorose ma il cui riflesso negativo sulla domanda interna può essere mitigato come ha suggerito il Governatore Visco, e il cui apporto a un rilancio dello sviluppo è comunque essenziale.
C’è, come si sa, discussione sulle politiche di rigore o di austerità perseguite e in ulteriore svolgimento in Europa, ma è significativo il fatto che il Presidente François Hollande, a sei mesi dalla sua elezione, nel presentare pubblicamente un quadro drammatico della crisi in atto nel suo paese, ha indicato drasticamente due obbiettivi da perseguire “nello stesso tempo: restaurare i nostri conti pubblici, ristabilire la competitività della nostra economia, anche al fine di ridurre le disuguaglianze e di ridare fiducia alla Francia”. E ancora più nettamente : “il risanamento della finanza pubblica” – egli ha detto – “è divenuto un imperativo nazionale”. Insomma, uno sforzo di “redressement di difficoltà inedita”.
Tenendo conto di tutto ciò, anche nel confronto elettorale che sta per aprirsi in Italia, su ciascuna forza politica incomberà il dovere della proposta e quindi l’onere di provarne la sostenibilità. E la sede della verifica alla quale chi governerà non potrà sottrarsi è quella dell’ormai codificato “semestre europeo”, in linea con un nuovo quadro di regole per il rafforzamento sia della sorveglianza delle situazioni di bilancio, sia della sorveglianza e del coordinamento delle politiche economiche.
Perciò non mi pare eccessivo dire che se su molti temi importanti resta intatta la libertà di distinzione e competizione tra diversi programmi politici e di governo, per la posizione dell’Italia in Europa il cammino è segnato, lo stesso sentiero di una dialettica di posizioni tra Stati e governi dell’Unione è ben definito. In un’Europa, dico, che avanza – se pur tra difficoltà e battute d’arresto o lentezze – verso una piena integrazione economica e politica : e questa è l’Europa in cui come italiani non possiamo, nel solco della nostra storia, non riconoscerci per avervi svolto e per svolgervi un ruolo assertivo e conseguente.
Questa è la consapevolezza che prevarrà nell’Italia del dopo-elezioni : mi sento di dirlo serenamente ai nostri partner europei. E ciò non implica alcuna valutazione sul profilo o sulle tendenze delle diverse forze politiche : rimarrò lontano da ogni giudizio anche quando tutti gli attori della competizione elettorale si saranno presentati sulla scena con i loro programmi. La mia è un’espressione di fiducia nella prospettiva di un confronto guidato dalla ragione, dalla misura, dal senso della realtà e dell’interesse generale del paese.
Scusandomi per l’eccessiva ampiezza di questo discorso – considero la vostra pazienza come gentile buonuscita – concludo in primo luogo sul punto del rapporto tra linguaggio della verità e messaggio di speranza. Il primo è doveroso come elemento di moralità e credibilità della politica ; il secondo non è sacrificato, ma reso più autentico, dal riconoscimento delle difficoltà e delle prove penose da superare.
Il secondo punto su cui concludere è quello da cui sono partito : continuità e stabilità istituzionale, pur nell’imprevedibile mutare degli equilibri politici. E aggiungo, fiducia nelle istituzioni, rispetto delle istituzioni. Più specificamente, attenzione e cura per tutte le articolazioni dello Stato democratico : esse vanno rinnovate, ma salvaguardate da particolarismi e spinte centrifughe, come da aperte o subdole contestazioni eversive.
E dunque, attenzione e cura per l’amministrazione della giustizia, cui è affidata la prima linea del necessario impegno collettivo nella lotta senza tregua e senza ombre per la legalità, e contro quel nemico mortale che è la mafia, la criminalità organizzata. Ai magistrati di tutta Italia – da quella Palermo dove quindici anni fa si concluse lo storico maxiprocesso, alle grandi città del Nord, diciamo : andate avanti e fino in fondo, con professionalità e rigore, nel rispetto delle regole e delle competenze, e nel rispetto dell’equilibrio dei poteri. Siamo così, limpidamente, al vostro fianco.
Attenzione e cura per l’Amministrazione dell’Interno, per la quale si sta avviando un processo di razionalizzazione e alleggerimento delle strutture burocratiche, e va garantito il sostegno indispensabile nel governo delle forze di polizia, presidio quotidiano della nostra sicurezza.
Attenzione e cura per le Forze Armate, col massimo apprezzamento per il coraggioso e difficile progetto di riforma appena approvato dal governo.
Attenzione e cura per l’Amministrazione degli Esteri, a garanzia della tradizionale eccellenza e delle nuove essenziali missioni della nostra diplomazia.
E c’è bisogno, infine, di raccomandare – in questo mio passaggio di testimone – attenzione e cura per l’universo della scuola, fortemente travagliato ma vibrante di passione nella consapevolezza del suo ruolo più che mai cruciale ?
Mi fermo qui, per dedicare qualche parola alle istituzioni rappresentative, che costituiscono il telaio dell’ordinamento democratico della Repubblica tracciato nella Costituzione. Un ordinamento, una architettura da rivedere, nello spirito dell’autonomismo segnato nell’articolo 5 della Carta e non certo con intenti di ritorno al vecchio centralismo, ma in coerenza con nuove esigenze di trasparenza, coordinamento e coesione al livello nazionale ed europeo.
E consentitemi di ricordare come al vertice delle istituzioni di garanzia si collochi quella Corte Costituzionale, la cui composizione fu voluta nella molteplicità e diversità delle sue fonti di nomina proprio a suggello della sua irriducibile indipendenza da ogni parte politica. Vedendola nuovamente oggetto di attacchi da opposte sponde, vi chiedo di unirvi a me, ancora una volta, nell’esigere assoluto rispetto per l’istituzione, per la sua storia, per i giudici che sono devoti al suo altissimo, insostituibile ruolo.
E ve lo chiedo ricordando che tutti i Presidenti della Repubblica sono stati sempre i primi a sottoporsi con rispetto alle pronunce della Corte, ben sapendo che ogni censura di illegittimità costituisce un richiamo anche ad essi che quelle leggi hanno promulgato.
Ho finito – trascinato dagli argomenti – per toccare il tema del Presidente della Repubblica, della sua figura, voglio dire, come parte del discorso sulla continuità delle istituzioni. Ma lo faccio solo per dirvi che mi sono in questi 7 anni sempre interrogato, senza troppo facili certezze, su ogni scelta impegnativa, prima di compierla e dopo averla compiuta. E ho necessariamente cercato risposte tanto negli esempi offerti dai miei predecessori, quanto nella dottrina e nella giurisprudenza costituzionale. Così anche per quel che riguarda il ruolo del Presidente nel conferimento dell’incarico ai fini della formazione del governo.
Tale tema torna d’attualità, diversamente da come sarebbe accaduto se – ed è quel che ho fortemente auspicato e, finché possibile, sollecitato – la legislatura si fosse conclusa alla normale scadenza dei 5 anni e le elezioni di fossero svolte nell’aprile del 2013. In tal caso, ad esse, e all’insediamento delle nuove Camere, sarebbe succeduta senza soluzione di continuità la convocazione del Parlamento in seduta comune per l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica, e a questi sarebbe toccato avviare il procedimento per la formazione del nuovo governo. Così non è stato, me malgrado, e mi trovo a dover chiarire che su me ricadrà un compito nettamente diverso da quello che mi toccò assolvere nel novembre del 2011.
La scelta che ritenni di poter compiere – la sola che avesse un senso e apparisse praticabile – fu quella del conferimento dell’incarico al neo senatore Monti : e da ciò scaturì la formazione di un governo, la cui natura ha dato luogo a discussioni. Nel sapiente commento (1985) del professor Livio Paladin – interprete e garante (come giudice e Presidente della Consulta) tra i maggiori della nostra Costituzione – si parla di “cosiddetti Governi del Presidente” o Governi tecnici, “necessari qualora le forze politiche rinuncino ai loro compiti propositivi o quando si renda altrimenti indispensabile che lo stesso Presidente funga da fattore di coagulazione”.
Ebbene, non c’è chi non veda come si stia ora per tornare a una naturale riassunzione da parte delle forze politiche del proprio ruolo, sulla base del consenso che gli elettori accorderanno a ciascuna di esse. E sarà quella la base su cui poggeranno anche le valutazioni del Capo dello Stato.
Del Professor Paladin consentitemi di raccogliere anche la motivata opinione che “la non rielezione”, al termine del settennato, è “l’alternativa che meglio si conforma al modello costituzionale di Presidente della Repubblica”. E’ con questa convinzione che mi accomiato da voi, esprimendovi profonda riconoscenza per il prezioso sostegno su cui ho potuto contare a beneficio di quella continuità istituzionale, che rappresenta – al di là delle alterne vicende della politica e dei governi – un bene irrinunciabile, un pilastro vitale della Repubblica.
foto: Mauro Scrobogna /LaPresse