Tra Piombino e Taranto
Adriano Sofri racconta su Repubblica differenze e somiglianze tra i due centri italiani più importanti nella produzione dell'acciaio
Oggi su Repubblica Adrian Sofri racconta quali sono le somiglianze (poche) e le differenze tra due dei più importanti stabilimenti industriali italiani nella produzione dell’acciaio: quello dell’ILVA di Taranto di proprietà della famiglia Riva e quello della Lucchini di Piombino, oggi di proprietà «più o meno di nessuno». Diverso, per esempio, è il tipo di produzione e il fatto che a Piombino non c’è la quantità di diossina che si respira a Taranto; entrambe però sono fondamentali per l’industria italiana, se si pensa alla grandezza e alla diffusione degli stabilimenti dell’ILVA, compreso l’indotto, e la produzione delle rotaie per le linee dei treni ad alta velocità negli altiforni di Piombino.
Piombino e Taranto hanno mare e acciaio, e un po’ si assomigliano, fatte le proporzioni – Piombino ha 36 mila abitanti. Di Taranto si sa. Anche Piombino se la vede bruttissima. Alla Lucchini, 2.100 dipendenti (di cui quattro donne operaie, e sessanta stranieri) più 1.500 dell’indotto, età media 32 anni, giovedì mattina si è fermato l’altoforno, in teoria fino all’11 gennaio. Spiega Mirko Lami, operaio e sindacalista: “La produzione era già bassa, dunque anche la temperatura della parte inferiore, il crogiolo, sicché c’è il rischio che la ghisa si rapprenda.
Successe già nel 1989, bisognò forare e piazzare la dinamite, poi entrare con le motopale, ma viene giù anche il refrattario e bisogna ricostruire tutto, e costa carissimo. L’altoforno è una bestia larga 14 metri e alta 30, può sfornare 2,3 milioni di tonnellate di ghisa, nell’ultimo anno ne ha tirate fuori solo 1,2 milioni, il minimo. Siamo preoccupati”.
Gli impianti siderurgici a ciclo integrale in Italia sono due, Taranto (che di altoforni ne ha cinque, e ne ha appena spento uno) e Piombino. L’Ilva è, finché dura, dei Riva. L’acciaieria di Piombino non è di nessuno, più o meno. Ha una storia più che secolare, e non tanti anni fa ci lavoravano in ottomila. Privatizzata coi Lucchini, passò ai russi della Severstal (stal, acciaio, come Stalin…), che progettarono un nuovo altoforno, tre milioni di tonnellate: “Ci lavorammo sei mesi, e nel 2008, all’arrivo della crisi, in tre giorni liquidarono tutto”.
(continua a leggere sul sito di Repubblica)
Foto: lo stabilimento dell’ILVA di Taranto (DONATO FASANO/AFP/Getty Images)