L’ultimo uomo sulla Luna
La storia di Eugene Cernan, che il 14 dicembre di quarant'anni fa fece l'ultima passeggiata lunare nella storia dell'uomo: un inno agli ultimi
Eugene Cernan diede un ultimo sguardo attraverso la visiera del casco, poi fece i conti con l’ingombro della grande tuta e lentamente risalì la scaletta, lasciandosi alle spalle quel piccolo mondo su cui aveva trascorso tre giorni, a quasi 360mila chilometri da casa. Era il 14 dicembre di quarant’anni fa e Cernan stava diventando l’ultimo uomo ad avere messo mai piede sulla Luna. Insieme con lui c’era il pilota del modulo lunare Harrison H. Schmitt, che lo aveva preceduto di qualche istante sulla scaletta, e che tre giorni prima era diventato l’ultimo uomo ad arrivare sulla Luna, un altro piccolo primato, anche se incomparabile con quello di Neil Armstrong di tre anni prima già entrato nella storia.
Per Cernan, Schmitt e l’altro loro compagno di viaggio, il pilota del modulo di comando Ron Evans, tutto era iniziato intorno alle 6:33 (ora italiana) del 7 dicembre del 1972. Erano partiti dal Kennedy Space Center in Florida, di notte, spinti dalla grandiosa potenza del lanciatore Saturno V, l’enorme razzo alto 110 metri con un diametro di 10 e con una massa di oltre 3mila tonnellate. Non era certo il primo lancio effettuato con il gigantesco razzo, ma nonostante questo e il fatto che fosse notte fonda, circa mezzo milione di persone assistettero alla partenza della missione spaziale in prossimità dello Space Center. Il lancio fu visibile fino a circa 800 chilometri di distanza dalla base spaziale, e sarebbe stato uno degli ultimi con un Saturno V.
Dopo circa quattro giorni di viaggio, e dopo essersi separati da Ron Evans che rimase sul modulo di comando, alle 8:50 (ora italiana) dell’11 dicembre 1972 Cernan e Schmitt allunarono con il modulo Challenger in vicinanza del cratere Littrow nel Mare della serenità, il mare lunare che si trova sul lato visibile della Luna nei pressi del Mare delle ombre, uno dei più grandi del satellite. L’acqua in questi mari naturalmente non c’è, ma poiché sono grandi avvallamenti che appaiono più scuri rispetto al resto del suolo lunare, i primi astronomi immaginarono che fossero come i mari terrestri e li chiamarono così.
I due astronauti si diedero da fare per preparare la loro prima passeggiata lunare. Quattro ore dopo il loro arrivo sulla Luna, aprirono il portello del modulo e Cernan scese per primo la scaletta, toccando il suolo lunare. Come mostrano efficacemente i diari delle comunicazioni di quel giorno, non ci furono frasi storiche o momenti solenni. I dialoghi tra i due astronauti e la Terra furono molto gioviali, con considerazioni tecniche miste a qualche battuta, e con una semplice dedica a tutti coloro che avevano reso possibile la missione con il loro lavoro. Del resto, Cernan e Schmitt erano rispettivamente l’undicesimo e il dodicesimo terrestre a passeggiare sulla Luna. Era ancora qualcosa di straordinariamente affascinante ma per buona parte dell’opinione pubblica quei viaggi verso il nostro satellite erano diventati routine e la missione stessa, la sesta sulla Luna, raccolse un interesse limitato e incomparabile con la prima missione dell’estate del 1969.
Sulla Luna i due astronauti rimasero per tre giorni e tre ore, conducendo diverse escursioni. Raccolsero chili di rocce, realizzarono un’ampia serie di esperimenti e misurazioni sulle caratteristiche del satellite (dalla sua effettiva forza di gravità all’atmosfera, passando per la stima della radiazione cosmica) e scorrazzarono con il loro Rover lunare, un trabiccolo a quattro ruote già sperimentato a partire dalla missione Apollo 15, per coprire maggiori distanze e trasportare campioni di rocce verso il modulo con minore fatica e in meno tempo. Il Rover si trova ancora lassù, insieme con le bandiere e diverse altre strumentazioni lasciate dalle sei missioni che portarono uomini sulla Luna.
Tornati sul modulo di comando, che era rimasto in orbita in attesa con Evans, l’equipaggio dell’Apollo 17 iniziò il lungo viaggio di ritorno verso la Terra. Il Challenger, che aveva permesso a Cernan e Schmitt di allunare e di tornare nell’orbita lunare, fu fatto precipitare sulla Luna e causò un piccolo terremoto, che fu rilevato dalle strumentazioni lasciate sul suolo e che fornì altri importanti dati sul comportamento del nostro satellite ai ricercatori. Il 19 dicembre del 1972, intorno alle 8:24 di sera (ora italiana) l’equipaggio ammarò nell’Oceano Pacifico dove fu recuperato dalla portaerei USS Ticonderoga.
Ben prima della partenza dell’Apollo 17, la NASA aveva già deciso che quella sarebbe stata l’ultima sua missione verso la Luna. Il programma Apollo in origine aveva previsto anche le missioni 18, 19 e 20 che furono annullate per motivi economici e politici già prima del lancio dell’Apollo 15. Gli Stati Uniti avevano dimostrato una schiacciante superiorità nelle tecnologie spaziali rispetto all’Unione Sovietica, vincendo di fatto un round importante della Guerra Fredda combattuta oltre l’atmosfera terrestre. Erano stati raccolti chili e chili di campioni lunari, ed erano state realizzate ogni tipo di misurazioni possibili con le tecnologie di allora sulla Luna. La portata scientifica delle missioni aveva conosciuto alti e bassi, i costi erano enormi e non aveva più senso continuare con le visite verso i mari del nostro satellite.
Mentre percorreva gli ultimi passi verso il modulo lunare, Cernan sapeva che sarebbe stato l’ultimo uomo ad avere camminato sulla Luna, almeno per un po’ di tempo. Forse non immaginava che nei 40 anni seguenti nessuno ci avrebbe messo più piede, ma era comunque consapevole di chiudere una brevissima ma intensa epoca storica, iniziata con l’Apollo 11. Prima di salire sulla scaletta, raccolse i pensieri e fece un breve discorso:
Sono sulla superficie e, mentre compio gli ultimi passi dell’uomo sulla superficie, di ritorno verso casa per un po’ di tempo – che non crediamo poi così lungo nel futuro – desidero dire quello che penso sarà ricordato dalla storia. Cioè che la sfida di oggi per l’America ha forgiato il destino dell’uomo di domani. E, mentre lasciamo la Luna a Littrow, ce ne andiamo come siamo venuti e, se Dio vuole, come ritorneremo, con pace e speranza per tutto il genere umano. Buona fortuna all’equipaggio dell’Apollo 17.
Eugene Cernan aveva 38 anni quando pronunciò quelle parole ed era al suo terzo viaggio spaziale. Nato a Chicago il 14 marzo del 1934 da madre ceca e padre slovacco, dimostrò di avere una buona predisposizione per gli studi scientifici. Dopo il diploma frequentò la Purdue University nell’Indiana, conseguendo una laurea in elettrotecnica nel 1956. Poi fu arruolato e divenne pilota di jet dell’Aviazione navale. Nel 1963 fu scelto dalla NASA per partecipare al progetto Gemini e successivamente a quello Apollo.
Il programma Gemini era stato avviato per sperimentare e sviluppare le tecniche che sarebbero poi servite per i viaggi verso la Luna con esseri umani del programma Apollo. Cernan volò sulla Gemini 9 insieme con Thomas Stafford: entrambi facevano parte dell’equipaggio di riserva per la missione, ma in seguito alla morte dei due astronauti dell’equipaggio principale la NASA affidò a loro il compito. Cernan era al suo primo viaggio nello spazio e divenne, un po’ per caso, il terzo uomo a effettuare una passeggiata spaziale, anche se ebbe diversi problemi durante il test di alcune manovre all’esterno della capsula spaziale. Stabilì un nuovo record di durata di un’attività extraveicolare.
Cernan era destinato a mettere insieme altri primati. Partecipando a due missioni Apollo divenne uno dei tre soli astronauti nella storia dell’uomo ad avere compiuto due viaggi verso la Luna, e l’unico di questi ad avere anche camminato sul suolo lunare. Il suo primo viaggio avvenne con l’Apollo 10 nella primavera del 1969, poche settimane prima dello storico allunaggio di Armstrong. Il secondo fu quello con l’Apollo 17, dove dimostrò tra le altre cose di essere un ottimo pilota da rally con il Rover lunare, con cui si spinse fino alla velocità record di 18 chilometri orari. E insieme con Schmitt superò anche il primato del tragitto più lungo percorso con il trabiccolo lunare: circa 35 chilometri.
Infine, grazie al suo allunaggio, Cernan consegnò un record non indifferente anche alla sua università. Alla Purdue University, infatti, si era laureato Neil Armstrong: dunque il primo e l’ultimo essere umano ad avere messo piede sulla Luna studiarono entrambi nello stesso ateneo.
Oggi Eugene Cernan ha 78 anni e talvolta partecipa ancora a convegni e concede interviste per raccontare la sua avventura lunare. Un paio di anni fa giornali e televisioni negli Stati Uniti tornarono a parlare di lui quando testimoniò, insieme con Neil Armstrong, davanti al Congresso per protestare contro la decisione di Barack Obama di accantonare l’ambizioso programma Constellation, per la creazione di nuovi veicoli spaziali con l’obiettivo tra le altre cose di tornare sulla Luna. Il progetto era stato avviato dall’amministrazione Bush, ma si era rivelato poco sostenibile ed eccessivamente costoso. Lo scorso anno disse di essere contrario alla chiusura del programma spaziale degli Shuttle.
Cernan quarant’anni fa allunò poco distante da un enorme macigno, al quale avrebbe dedicato molto tempo per studiarne le caratteristiche. Quando tornò sulla Terra confidò al suo amico Alan Bean, che era andato sulla Luna con l’Apollo 12, di rimpiangere di non avere fatto qualcosa di speciale su quel macigno diventato nel frattempo molto conosciuto grazie a una fotografia. Disse che avrebbe potuto scrivere nella polvere “Tracy”, il nome di sua figlia che all’epoca aveva nove anni.
Bean, che aveva lasciato la NASA per dedicarsi completamente alla sua passione per la pittura, chiese a Cernan di mostrargli su un foglietto come avrebbe realizzato la scritta sul macigno. Qualche tempo dopo, chiamò l’amico dicendogli che aveva qualcosa da mostrargli. Era una riproduzione della famosa foto, con “Tracy” scritto nella polvere del macigno lunare. All’amico con cui aveva in comune un soggiorno sulla Luna, Bean spiegò che aveva fatto il disegno per risparmiargli «la fatica di fare un altro viaggio fino a là per farlo dal vero, e per evitare un’ulteriore spesa ai contribuenti».