La bugia dell’anno negli Stati Uniti
Secondo il sito di fact-checking PolitiFact l'ha detta Mitt Romney in campagna elettorale, e riguarda un po' anche l'Italia
La bugia dell’anno negli Stati Uniti è stata pronunciata da Mitt Romney durante la campagna elettorale per la presidenza, e in parte riguarda anche l’Italia: la balla è stata selezionata dai responsabili di PolitiFact, un progetto di fact-checking gestito dal Tampa Bay Times di St. Petersburg (Florida) che ha l’obiettivo di verificare l’aderenza alla realtà delle dichiarazioni fornite da “membri del Congresso, dalla Casa Bianca, dai lobbisti e da altri gruppi di interesse”. PolitiFact ha iniziato la tradizione di indicare la bugia dell’anno dal 2009: è considerato una fonte affidabile per la verifica dei fatti, anche se i detrattori accusano il progetto di avere a volte forzato il “fact checking” su cose che non erano del tutto verificabili.
Nel corso di un comizio nell’Ohio, uno degli stati determinanti per la vittoria alle presidenziali di quest’anno, il candidato repubblicano Mitt Romney disse che «Jeep, ora controllata dagli italiani, pensa di spostare tutta la sua produzione in Cina» a danno dei lavoratori statunitensi. La voce era circolata su un blog conservatore, era stata successivamente ripresa da Drudge Report e fu rapidamente smentita da Jeep, uno dei marchi di Chrysler, ma i responsabili della campagna di Romney portarono ugualmente avanti la cosa, realizzando anche uno spot televisivo sul fantomatico piano di Sergio Marchionne, amministratore delegato di FIAT e di Chrysler, di trasferire la produzione delle auto Jeep in Cina.
Come spiegano su PolitiFact, la bugia di Romney era partita da un “briciolo di verità”. Chrysler ricevette in prestito miliardi di dollari dal governo federale quando era in una profonda crisi economica. Nel 2009 fu costretta a dichiarare fallimento e, con la mediazione della Casa Bianca, la società passò sotto il controllo di Fiat, che avviò un piano di ristrutturazione molto duro e ambizioso. Tre anni dopo le cose per Chrysler iniziarono ad andare meglio, soprattutto per il marchio Jeep, per il quale furono avviati piani di espansione di alcuni stabilimenti per la produzione delle auto. La domanda era in crescita, e non solo negli Stati Uniti.
Chrysler aveva l’obiettivo di rilanciare i propri marchi all’estero e, come molti altri produttori statunitensi di automobili, preferiva produrre i veicoli direttamente nel paese in cui li avrebbe poi venduti. Il 22 ottobre scorso circolò su Bloomberg la notizia che Chrysler stesse per riavviare la produzione di Jeep in Cina. L’articolo era comunque molto chiaro su un punto: Chrysler stava pensando a espandere la propria presenza commerciale in Cina, quindi senza chiudere alcuno stabilimento negli Stati Uniti.
Tre giorni dopo la pubblicazione dell’articolo, il blogger conservatore Paul Bedard pubblicò un post citando scorrettamente il pezzo di Bloomberg e dicendo che “Chrysler sta pensando di lasciare perdere gli Stati Uniti per spostare la propria produzione in Cina”. Bedard proseguiva dicendo che una simile decisione avrebbe potuto portare alla rovina la città di Toledo, Ohio, dove si trova uno dei principali stabilimenti della società. La cosa fu ripresa da Drudge Report e fece molto discutere. Sul blog di Chrysler, il portavoce della società pubblicò poco dopo un post per mettere in chiaro che “Jeep non ha alcuna intenzione di spostare la produzione dei veicoli Jeep in Cina”. Le voci circolate su una tale possibilità furono definite “stravaganti” e semplici “fantasie”.
La sera stessa del 25 ottobre, Romney si trovava a Defiance in Ohio e tenne un comizio, dove riprese la falsa notizia circolata su Drudge Report. Disse che avrebbe combattuto “per ogni posto di lavoro in America” e che solo così il paese avrebbe potuto vincere. Il giorno seguente molti giornali e televisioni diedero conto dell’errore di Romney e della cosa si parlò molto, soprattutto sui social network. I responsabili della campagna elettorale continuarono comunque a sostenere che Jeep avrebbe trasferito la produzione in Cina e prepararono uno spot elettorale che fu trasmesso su diverse emittenti dell’Ohio e in cui si diceva espressamente che Obama aveva “venduto Chrysler agli italiani che costruiranno le Jeep in Cina”. Fu anche realizzato uno spot radiofonico, impostato più o meno allo stesso modo.
Gli spot portarono a nuove voci e speculazioni, che tra l’altro rischiavano di danneggiare Chrysler. Il suo amministratore delegato, Sergio Marchionne, intervenne personalmente per ribadire ancora una volta che «gli stabilimenti [di Jeep] continueranno a produrre negli Stati Uniti e costituiranno la spina dorsale del marchio. Non è accurato dire cose diverse da questa». I responsabili della campagna elettorale di Romney furono sommersi di critiche e di domande: diedero risposte goffe e non riuscirono a gestire efficacemente il danno fatto.
Gli spot avevano l’obiettivo di mettere in cattiva luce Obama, ma ottennero il risultato inverso. I democratici ne approfittarono e diffusero uno spot televisivo che spiegava la bugia di Romney e dimostrava che semmai Jeep nell’ultimo anno aveva aumentato il numero di propri impiegati, negli Stati Uniti, anche grazie all’intervento del governo (al quale Romney si era opposto).