Un’altra conferenza sul clima
È finita ieri a Doha la conferenza sul clima delle Nazioni Unite, con pochi passi avanti concreti: gli obiettivi restano quelli, ma le scadenze sono state rinviate
Dopo due settimane di negoziati, si è conclusa ieri la diciottesima Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici a Doha, in Qatar, a cui hanno partecipato 194 paesi del mondo. Si è discusso di molti temi, tra cui il prolungamento delle scadenze del protocollo di Kyoto, i rischi del riscaldamento globale e altri fattori che stanno causando importanti e rischiosi cambiamenti climatici.
Il risultato però sembra essere stato deludente o meglio inconcludente, come scrive l’agenzia di stampa Reuters: la quale apre il suo articolo sulla riunione con parole molto scoraggianti, spiegando come non ci sia stato alcun progresso nella discussione sulla riduzione dei gas serra, né sia stata presa una decisione significativa da parte dei leader dei vari paesi, nell’ennesima riunione finanziata “generosamente” dalle Nazioni Unite. Tra l’altro il Qatar, il paese ospitante, è quello che produce il volume pro capite di gas serra più grande al mondo.
I negoziati erano stati avviati con l’obiettivo di ridurre le emissioni di gas serra: alla fine, soltanto i paesi dell’Unione Europea e pochi altri hanno detto di essere pronti a fare dei passi in avanti. Insieme formano però soltanto una minoranza del 20 per cento dei paesi del mondo, e bisogna considerare che gli altri paesi molto “inquinanti”, come Stati Uniti, Russia, Giappone, Cina, Brasile, hanno detto invece di essere contrari.
Un accordo però è stato comunque trovato: il protocollo di Kyoto, che è entrato in vigore nel 2005, è stato esteso fino al 2020. La scadenza era prevista per il prossimo 31 dicembre: lo scopo del protocollo è di combattere il surriscaldamento del pianeta, che potrebbe essere causa di nuovi uragani e inondazioni, oltre che dell’aumento del livello del mare.
Il trattato prevede l’obbligo per i paesi industrializzati di ridurre le emissioni di elementi inquinanti (soprattutto gas come anidride carbonica, metano e altri) di almeno il 5 per cento rispetto alle emissioni registrate nel 1990, considerato come anno base. Il protocollo prevedeva che questo limite fosse rispettato per il periodo dal 2008 al 2012. E ora, quindi, è stato esteso fino al 2020.
Inoltre, i paesi più industrializzati non hanno voluto prendere impegni, almeno in tempi brevi, sulla riduzione delle emissioni di anidride carbonica, né hanno voluto stabilire un piano di aiuti per i paesi emergenti e in via di sviluppo per la prevenzione dei danni provocati dai cambiamenti climatici e la compensazione dei danni subiti a causa delle catastrofi ambientali.
La prossima scadenza, per i maggiori paesi inquinanti, è fissata nel 2015, quando si dovrebbe firmare un nuovo accordo globale. Il problema principale emerso durante i negoziati riguarda i costi molto elevati, tanto più in un periodo di crisi economica globale, e il fatto che i paesi più industrializzati vogliono che il peso di questi costi venga allargato anche ai paesi emergenti.
Secondo i dati pubblicati durante la Conferenza, la temperatura del pianeta potrebbe aumentare di quattro gradi, cioè due gradi in più rispetto al limite massimo di due gradi stabilito nel 2010. Questo potrebbe significare ulteriori problemi per la scarsità di cibo e mancanza di acqua e rischi di inondazioni sulle coste, oltre a un aumento generale della siccità. Si deve investire ancora, nonostante nel 2011 siano stati spesi 260 miliardi di dollari per le energie rinnovabili, nelle nuove tecniche per l’estrazione di gas naturale.
Foto: Ban Ki-moon, segretario generale delle Nazioni Uniti (KARIM JAAFAR/AFP/Getty Images)