Il caso Clarín in Argentina
Il più grande gruppo editoriale argentino si sta scontrando con il governo Kirchner e una legge antitrust che impone il suo smembramento
Questa mattina sulle prime pagine dei principali giornali argentini si parla molto del caso Clarín, il più grande gruppo editoriale del paese. Con l’entrata in vigore di una nuova legge anti-trust, ieri a mezzanotte, il gruppo Clarín avrebbe dovuto essere smembrato e alcune sue parti messe all’asta dal governo. Invece, una corte d’appello ha stabilito ieri che il gruppo è salvo, fino a quando un tribunale federale non si esprimerà sulla costituzionalità della nuova legge.
Il gruppo Clarín è uno dei più grandi gruppi del settore multimediale in Sudamerica. Ha un fatturato annuo di circa 2 miliardi di dollari. Pubblica il Clarín, il più diffuso quotidiano dell’Argentina (e del Sudamerica), e alcuni giornali locali argentini. Il gruppo possiede anche una radio, un canale televisivo via cavo e uno in chiaro, Canal 13, che è il più visto in Argentina. La posizione politica del gruppo è stata spesso critica nei confronti del governo di Cristina Kirchner. In molti ritengono che la nuova legge anti-trust sia solo un modo del governo per colpire una voce di opposizione.
Non sarebbe il primo caso in cui l’attuale governo manifesta poca tolleranza nei confronti delle critiche. Un anno fa multò e minacciò un gruppo di studiosi ed economisti molto critici sui dati diffusi dagli uffici statistici governativi, in particolare sul dato dell’inflazione – che era intorno al 9% secondo il governo, al 30% secondo tutti gli altri. Questo nervosismo del governo Kirchner sarebbe spiegabile con l’attuale momento di difficoltà che il governo sta vivendo: la situazione economica del paese sta peggiorando rapidamente mentre aumenta il dissenso contro il governo, espresso anche con il primo sciopero generale dall’inizio del suo mandato.
La legge anti-trust sarebbe dovuta entrare in vigore alla mezzanotte di ieri e intorno all’evento si era creata una certa attesa, cavalcata con campagne pubblicitaria sia dal gruppo Clarín che dai media vicini al governo e dal governo stesso. Il 7 dicembre è diventato così il “7D” (che è diventato anche un hashtag su Twitter). Nei manifesti del gruppo, il 7D era un giorno in cui ribadire l’importanza della libertà di stampa scendendo in piazza. Per i favorevoli allo smembramento, che avevano come slogan “Clarín mente”, con il 7D i media “sarebbero diventati di tutti”.
Invece, il tribunale di appello ha decretato proprio ieri che l’applicazione della nuova legge anti-trust sul gruppo Clarín dovrà restare sospesa fino a una sentenza di una corte federale sulla sua costituzionalità. Il governo ha già annunciato di aver fatto ricorso alla Corte suprema del paese contro questa decisione. La Corte si riunirà lunedì e ha già annunciato una decisione in tempi molto brevi.