L’aria che tira a Taranto
Adriano Sofri è stato davanti ai cancelli dell'ILVA e ci ha visto "una ricapitolazione della storia del capitalismo", oltre naturalmente alla polvere rossa
Adriano Sofri oggi scrive su Repubblica da Taranto, dove ieri gli operai dell’ILVA, la grande fabbrica siderurgica della città al centro di diverse inchieste giudiziarie per l’inquinamento che produce, hanno protestato in seguito alla decisione della direzione di chiudere l’impianto.
Ormai le città sono due. La Taranto delle persone, e quella dell’Ilva. E come se non bastasse, proprio ora la Taranto delle persone è stata dichiarata la città più invivibile d’Italia. L’ingresso della Direzione dell’Ilva – un luogo tanto meno solenne ma assai più influente del Municipio cittadino – era sconsacrato ieri da un lenzuolo con su scritto: “Senza lavoro, nessun futuro”. Dentro, la mattina, lo slogan gridato dal grosso corteo di operai che avevano lasciato i loro posti per radunarsi in quello spazio padronale era: “I padroni dell’azienda siamo noi!”.
C’era il furgone dei “Liberi e pensanti”, c’erano soprattutto gli operai della Movimentazione Ferroviaria. Loro sono i compagni di Claudio Marsella, di Oria, 29 anni, locomotorista, si chiama così, morto lo scorso 30 ottobre col torace schiacciato durante la manovra di aggancio di un carro. Lo avevano trovato agonizzante, perché all’Ilva per quel lavoro pesante e pericoloso si era lasciato solo un operaio per turno.
Quella notte c’erano stati altri due “incidenti” gravi, un operaio ustionato, uno intossicato dal gas. Oggi qualcuno ricorda quella giornata, la protesta dei compagni di lavorazione cui si era unito il sindacato di base, l’assenza di troppi altri, per non dire della città. Bisognava continuare con lo sciopero, dicono anche, come stanno facendo a Genova.
(continua a leggere sulla rassegna stampa della Camera)
– Perché l’ILVA è di nuovo ferma
foto: dff/Lapresse