Il primo problema di Obama
Il primo gennaio scatteranno automaticamente tagli mostruosi alla spesa pubblica - il cosiddetto "fiscal cliff" - e quindi bisogna trovare un accordo con i repubblicani al Congresso
Poche ore dopo la rielezione di Barack Obama, l’agenzia di rating Fitch ha pubblicato un commento piuttosto preoccupato per il prossimo futuro delle finanze pubbliche degli Stati Uniti. Mercoledì il Dow Jones – l’indice principale della borsa di New York – ha chiuso in calo del 2,4 per cento e il Nasdaq, l’indice dei titoli tecnologici, è sceso del 2,5 per cento. Quella del Dow Jones è la perdita più consistente dell’anno.
I motivi del calo subito dopo la rielezione di Obama sono diversi. Da una parte, come spiega il Wall Street Journal, alcuni investitori americani hanno tolto i loro soldi da alcuni settori che, secondo gli analisti, sono più vulnerabili a modifiche legislative nel secondo mandato di Obama: i titoli delle sei principali banche statunitensi hanno perso 37 miliardi di dollari (circa 29 mld di euro) perché ci si attende che l’azione di Obama in quel settore sarà più sfavorevole rispetto a quella che avrebbe fatto Romney.
Ma il motivo principale è la questione del cosiddetto Taxmageddon o fiscal cliff, il “precipizio fiscale”, che è resa più difficile dal fatto che la maggioranza alla Camera uscita dalle elezioni è repubblicana mentre il presidente è democratico (il cosiddetto divided government, condizione piuttosto frequente nella storia americana). Anche se questa situazione era largamente prevista, i mercati finanziari hanno reagito male lo stesso, perché nelle prossime settimane ci saranno negoziati particolarmente complicati tra repubblicani e democratici per una questione chiave della finanza pubblica degli Stati Uniti, dagli effetti potenzialmente molto pesanti per l’economia mondiale. Secondo CNN, già mercoledì Obama è tornato a Washington per occuparsi delle trattative.
Il fiscal cliff è la combinazione, a partire da gennaio prossimo, della scadenza di una serie di tagli alle tasse – in parte risalenti a George W. Bush, in parte contenuti nello “stimolo” all’economia di Obama per uscire dalla crisi – e dello scatto di una serie di pesanti tagli automatici alla spesa federale stimati in molte centinaia di miliardi di dollari per il solo 2013, nei settori della difesa, dei servizi sociali e dell’istruzione. Il tetto massimo del debito pubblico americano, infatti, è fissato per legge, e il Tesoro ha detto che il limite di spesa verrà raggiunto alla fine di quest’anno: è necessario quindi una nuova legge che lo alzi – come quella dell’agosto 2011, che arrivò dopo faticosissime trattative e precedette il downgrade da parte di Standard & Poor’s – e un ampio programma che imposti la riduzione della spesa pubblica per i prossimi anni. La fine dei tagli porterebbe a un pesantissimo aumento delle tasse per le famiglie americane, il cosiddetto Taxmageddon.
Obama ha detto in campagna elettorale che è a favore di tassare di più i redditi degli americani che guadagnano più di 250 mila dollari l’anno, ritornando ai livelli di imposizione fiscale degli anni Novanta. Insieme a questo, vuole concordare con i repubblicani una serie di tagli alla spesa pubblica.
I repubblicani, da parte loro, si dicono a parole disponibili alla trattativa, ma rifiutano categoricamente di permettere tasse più alte per i più ricchi. Il leader dei repubblicani alla Camera, John Boehner, ha detto ieri che Obama non può contare sul raggiungimento di un accordo nell’arco di poche settimane, aggiungendo che bisognerà aspettare l’insediamento dei nuovi parlamentari il prossimo anno. Coerentemente con la loro linea politica, i repubblicani insistono perché si evitino nuove entrate provenienti dalle tasse e perché ci si concentri invece sui tagli alla spesa pubblica e per un minor ruolo del governo federale nell’economia e nelle politiche sociali.
Fitch ha detto che il prossimo anno il rating degli Stati Uniti potrebbe essere abbassato dall’attuale tripla A se non si raggiungerà rapidamente un accordo, mentre anche Moody’s ha detto che aspetterà di valutare le conseguenze concrete sull’economia americana. Standard & Poor’s ha già ridotto la sua valutazione ad “AA” il 5 agosto 2011, dopo mesi di trattative tra le forze politiche per l’innalzamento del tetto massimo del debito federale. Ad ogni modo, la revisione al ribasso di S&P non ha avuto conseguenze gravi per il costo del debito pubblico degli Stati Uniti, che al contrario si è ridotto nei mesi successivi. Se non verrà raggiunto l’accordo, dicono gli analisti, gli Stati Uniti rischiano di interrompere il lento processo di crescita economica e uscita dalla crisi e di entrare in una nuova recessione, mentre anche il sistema politico nazionale subirebbe una notevole crisi di fiducia.
L’accordo verrà raggiunto, se non altro perché un disastro non conviene a nessuno. La situazione politica è favorevole, dopo le elezioni: Obama, senza più preoccupazioni elettorali, può spingere per un compromesso senza eccessive preoccupazioni di fare arrabbiare i suoi sostenitori, mentre i repubblicani sconfitti stanno subendo grandi pressioni per moderare i toni e adottare un atteggiamento di maggior compromesso.
Foto: Allison Joyce/Getty Images