Nella tomba di Tutankhamen
La storia della scoperta archeologica più famosa della storia, avvenuta 90 anni fa, e della leggenda sulla maledizione del faraone
di Davide Maria De Luca
Intorno alle dieci di mattina del 4 novembre 1922, l’archeologo inglese Howard Carter scoprì alcuni gradini nascosti sotto i resti di un antico villaggio nella Valle dei Re, in Egitto. Il nome del sito era la sigla KV62, ma da allora divenne noto come la tomba di Tutankhamen. Fu uno dei ritrovamenti archeologici più ricchi della storia e la pietra fondante della moderna egittologia.
All’epoca fu un avvenimento tanto sensazionale e seguito dal pubblico che la morte sospetta di alcuni membri della spedizione fece nascere la leggenda della maledizione del Faraone, a cui contribuirono scrittori come Arthur Conan Doyle, e che è rimasta nella cultura popolare fino ai giorni nostri.
La storia della scoperta cominciò con le parole di Theodore Davis, un avvocato americano appassionato di archeologia. Davis fu l’autore di numerosissime scoperte all’interno della Valle dei Re e nel 1914 scoprì una tomba piuttosto misera (KV54, poco più di un pozzo), che però decise essere la tomba di Tutankhamen. Davis proclamò alla fine del libro in cui raccontava le sue ultime scoperte:
«Penso proprio che nella Valle dei Re non ci sia più nulla da scoprire.»
Successivamente si scoprì che gli scavi di Davis terminavano due metri prima dell’ingresso alla vera tomba di Tutankhamen e dei suoi immensi tesori.
Otto anni dopo, ricominciò a scavare proprio in quella zona Howard Carter, un archeologo che era finanziato dal nobile inglese George Herbert, quinto conte di Carnarvon. Carter e Lord Carnarvon non procedevano alla cieca: erano alla ricerca proprio della tomba di Tutankhamen e non ritenevano plausibile che il pozzo scoperto da Davies fosse la tomba di un faraone. Ma avevano pochissimi indizi – qualche coccio con inciso il nome del faraone – e la zona degli scavi era già stata ampiamente ricercata da altri archeologi.
Carter cominciò a scavare il primo novembre su un sito dove aveva già scoperto, sotto tre metri di detriti, i resti di un villaggio degli operai che avevano costruito la tomba di Ramses VI. La mattina del 4 novembre un operaio egiziano scoprì il primo gradino che conduceva alla tomba. Entro sera venne liberata dalla terra un’intera scala. Quel giorno Carter scrisse sul suo diario:
«Intorno alle 10 ho scoperto sotto la prima capanna le prime tracce dell’entrata della tomba (Tut.ankh.Amen)»
A quel punto l’esplorazione della tomba proseguì in maniera lenta e metodica. La porta al termine delle scale aveva i sigilli rotti, segno che i ladri l’avevano già visitata. Da lì partiva un altro corridoio, che conduceva all’ingresso vero e proprio. Anche qui i sigilli erano spezzati, ma i geroglifici erano chiari: si trattava della tomba di Tutankhamen. La porta venne aperta ufficialmente soltanto il 29 novembre, dopo che Carter fece un buco nella porta, ci infilò un mano e accese un fiammifero per verificare che ci fosse ossigeno all’interno. La prima camera si rivelò vuota, ma Carter era sicuro che ci fosse una porta segreta.
La trovò e una volta aperta si rivelò piena di tesori. In tutto Carter scoprì cinque stanze: il corredo funebre del faraone si rivelò così ricco e Carter fu così disciplinato nella catalogazione che soltanto il 10 novembre 1930, otto anni dopo la scoperta, l’ultimo oggetto fu asportato dalla tomba. Gli oggetti catalogati furono più di cinquemila: dalle statue d’oro alla cassa decorata in avorio che conteneva i canopi con all’interno gli organi estratti dal faraone – gli oggetti oggi sono quasi tutti conservati nei musei del Cairo e per legge, dal 1970, non possono lasciare l’Egitto.
Ma il reperto più interessante che trovò Carter fu il monumento funerario vero e proprio del faraone. Era l’oggetto più grande, costituito da 4 altari che, inseriti uno dentro l’altro come una matrioska, proteggevano il sarcofago. Quello esterno, il più grande, misurava 5 metri di lunghezza, quasi quattro di larghezza e tre di altezza. All’interno di questi quattro altari era custodito il sarcofago, intagliato nel granito che a sua volta conteneva tre bare, una dentro l’altra. L’ultima era fatta con 110 chilogrammi d’oro. La mummia che custodiva era coperta dalla maschera funebre d’oro e lapislazzuli, probabilmente il reperto più famoso di tutta l’egittologia.
Il ritrovamento della tomba, annunciato in una conferenza stampa il giorno in cui Carter entrò nella prima camera, suscitò immediatamente l’attenzione dei mezzi di comunicazione. Ma la passione per l’Egitto crebbe in maniera smisurata quando cominciarono a venire alla luce i primi tesori. Il pubblico era tanto ansioso di avere notizie e Carter procedeva in maniera tanto prudente che presto ogni dettaglio della spedizione cominciò ad essere riferito in maniera più o meno esatta dalla stampa.
La leggenda della maledizione del faraone nacque per un episodio curioso, che ha a che fare con un cobra e con un canarino. Un collega di Carter raccontò un episodio all’apparenza misterioso che venne pubblicato sul New York Times il 22 novembre, qualche settimana dopo l’apertura della tomba. A quanto pare, Carter aveva inviato a casa sua uno dei suoi operai per portare un messaggio. Entrato in casa l’operaio sentì un grido «quasi umano» e scoprì che un cobra reale, simbolo della monarchia egiziana, aveva mangiato il canarino di Carter. Proprio quel giorno, secondo la leggenda, la tomba veniva aperta: un segnale, secondo alcuni, per cui come Carter entrava nella casa del faraone, così il faraone entrava nella sua.
La leggenda si consolidò con la morte di Lord Carnarvon, il finanziatore di Carter, proprio pochi giorni dopo la scoperta della camera del tesoro. Carnarvon, mentre si faceva la barba, si tagliò proprio sopra la puntura di una zanzara. Dal taglio si propagò un’infezione che lo uccise in un paio di settimane. La notizia venne riportata e ingigantita da tutti i giornali del Regno Unito e degli USA e anche Arthur Conan Doyle si inserì nella discussione, suggerendo che forse Carnarvon era stato ucciso da alcuni «elementali» posti a guardia della tomba del faraone.
In tutto furono undici le persone collegate alla spedizione, anche solo remotamente, a morire negli anni dei lavori, tra il 1922 e il 1930. Ma furono probabilmente centinaia, se non migliaia, le persone che visitarono la tomba in quegli anni. Dei 58 che furono presenti all’apertura della tomba, che secondo la leggenda avrebbero dovuto essere i più maledetti di tutti, nel giro di dodici anni morirono soltanto in otto. Lo stesso Carter visse fino al 1939.