Nessuno vuole più fare il lottatore di sumo
Dopo anni di scandali, nello sport nazionale giapponese cominciano a mancare i lottatori, mentre anche gli sponsor si tirano indietro
Ieri il Financial Times è tornato a parlare della crisi del sumo, lo sport nazionale giapponese. Secondo l’Associazione Giapponese del Sumo (JSA), quest’anno soltanto 56 apprendisti si sono iscritti all’associazione, il numero più basso del secolo. Troppo pochi per sostituire i 115 lottatori che hanno abbandonato le competizioni quest’anno.
Questa non è la prima crisi a colpire il mondo del sumo, ma è piuttosto il prodotto di tutti gli scandali che negli ultimi anni hanno colpito questo sport. Il primo fu nel 1996 e i protagonisti furono Onaruto Oyakata e Seiichiro Hashimoto. I due, lottatori professionisti, raccontarono in un libro il giro di scommesse illegali, il doping e i legami con la malavita che gravitavano intorno agli incontri dei principali tornei. Entrambi i lottatori morirono poco prima della pubblicazione del libro, dando allo scandalo una risonanza mondiale, anche se non furono mai trovate prove che si fosse trattato di omicidi.
Gli scandali si sono succeduti in maniera continua negli anni successivi. Nel 2010 per un giro di scommesse clandestine vennero indagati più di venti lottatori della prima serie. Nello stesso anno uno dei campioni più famosi fu costretto a dimettersi dopo che venne provato il suo coinvolgimento in una rissa tra ubriachi. L’anno dopo la JSA arrivò a sospendere uno dei tornei maggiori, dopo che l’ennesimo scandalo aveva coinvolto 13 lottatori.
Il crollo nel numero degli apprendisti, scrive FT, è una conseguenza anche di questi scandali e si accompagna a un declino altrettanto evidente delle sponsorizzazioni, degli spettatori e dell’audience televisiva. La finale del torneo autunnale, in cui le telecamere hanno mostrato gli spalti semivuoti, è stata poche settimane fa e ha avuto uno share del 18%, contro il 27% del 2009. McDonald’s, che per anni era stato il finanziatore ufficiale dei premi in denaro, da circa un anno ha deciso di non associare più la sua immagine a quella del sumo, tagliando completamente ogni finanziamento.
Questa crisi per i giapponesi ha un’importanza particolare perché il sumo non è soltanto uno sport: lo spettacolo della lotta si incrocia con significati religiosi, riminiscenze imperiali e spirito marziale. Questo intrecciarsi di significati è dimostrato dalla ritualità che scandisce non solo gli incontri, ma anche la vita dei lottatori, i cosidetti rikishi. La loro vita è regolata in una maniera simile a quella dei monaci: la JSA prevede che i rikishi, a secondo della loro posizione in classifica, abbiano introiti, frequentazioni, alimentazioni e tempo libero differente e regolamentato.
Foto: Victor Decolongon/Getty Images