Chi sono gli Alt-J

La band inglese che ieri ha vinto il Mercury Prize, il meno screditato dei premi musicali

di Elia Alovisi

LONDON, ENGLAND – NOVEMBER 01: Joe Newman, Gwil Sainsbury, Thom Green, Gus Unger-Hamilton of Alt J win the Barclaycard Mercury Prize at The Roundhouse on November 1, 2012 in London, England. (Photo by Ben Pruchnie/Getty Images)

LONDON, ENGLAND – NOVEMBER 01: Joe Newman, Gwil Sainsbury, Thom Green, Gus Unger-Hamilton of Alt J win the Barclaycard Mercury Prize at The Roundhouse on November 1, 2012 in London, England. (Photo by Ben Pruchnie/Getty Images)

Il Mercury Prize è un premio assegnato ogni anno al miglior disco di artisti britannici e irlandesi, con particolare attenzione ad etichette ed artisti indipendenti, nato nel 1992 come alternativa ai più commerciali Brit Awards: per essere un premio musicale è preso piuttosto sul serio tra gli addetti ai lavori e i dischi e gli artisti che concorrono sono quasi sempre molto validi. Storicamente il premio è passato per diverse controversie, con una certa consuetudine a non essere sempre assegnato agli artisti dati per favoriti (un esempio è l’edizione del 1994, in cui “Elegant Slumming” della pop band M People sconfisse, su tutti, “Parklife” dei Blur – ma anche dischi dei Prodigy e Pulp, tra gli altri). L’edizione di quest’anno invece è stata vinta dagli Alt-J (∆) con il loro primo disco “An Awesome Wave”, che era considerato il favorito per l’assegnazione del premio di 20 mila sterline. Tra gli altri candidati c’erano due cantautori, Ben Howard e Michael Kiwanuka, la band dei Maccabees e il rapper Plan B.

(Il Mercury Prize del 2010)

(Il Mercury Prize del 2011)

I membri degli Alt-J (∆) si sono conosciuti e hanno iniziato a suonare insieme all’università di Leeds nel 2007. Il loro nome rimanda alla combinazione di tasti da premere sulla tastiera inglese per ottenere il simbolo greco delta. Negli ultimi mesi la band ha ricevuto recensioni contrastanti: la rivista inglese NME ha definito la loro proposta “sbadatezza musicale, che però funziona”, lodando la loro scrittura “impaziente e complessa”, mentre il sito americano Pitchfork ha descritto il loro esordio come “troppo pieno, confuso ed elaborato”. Una stessa ambiguità di giudizio c’è stata sulla loro vittoria: il Guardian ha appoggiato la scelta della giuria, mentre il Telegraph l’ha definita “un altro chiodo nel coperchio della bara” del Mercury Prize, in quanto l’impatto della band sarebbe stato sì buono ma non a tal punto da essere considerato straordinario e meritevole di un premio.


Il video di “Matilda”, ispirata a Léon, il celebre film di Luc Besson.


“Interlude 1 (Ripe & Ruin)”, live al festival olandese Lowlands, con un coro sul palco.


“Taro”, ispirata alla coppia di fotografi di guerra Robert Capa (sua è la celebre fotografia “Morte di un miliziano lealista”, scattata mel 1936 durante la guerra civile spagnola) e Gerda Taro.