I guai di Antonio Di Pietro
Oggi ha detto al Fatto che l'IdV «è morta domenica sera», il partito dovrà fare i conti con certe vicende giudiziarie e farà un congresso straordinario
In un’intervista a Carlo Tecce pubblicata oggi dal Fatto Quotidiano, Antonio Di Pietro si difende dalle accuse di scarsa trasparenza – come minimo – nella gestione dei soldi del partito che ha fondato e che presiede, l’Italia dei Valori, rilanciate domenica scorsa dalla trasmissione di Rai3 Report.
Di Pietro si è detto molto pessimista sul futuro del suo partito, ammettendo che secondo lui l’esperienza dell’IdV «è finita domenica a Report». Di Pietro si è quindi affidato ai suoi elettori: «ci aiutino o a maggio andiamo a casa, killerati dal sistema che non ci vuole più». Interpellato in merito al suo patrimonio immobiliare Di Pietro ha precisato: «Entrambi i miei figli hanno una casa a Milano comprata su progetto da una cooperativa, per risparmiare, e una quota di eredità materna a Bergamo. Tutto qua».
L’inchiesta di Sabrina Giannini su Report, intitolata “Gli insaziabili”, ha evidenziato una serie di vicende poco chiare rispetto alla gestione dei fondi da parte dell’Italia dei Valori. La prima riguarda la gestione dei rimborsi elettorali, che tra il 2000 e il 2007 sarebbero stati trasmessi non direttamente al partito, che per legge dovrebbe esserne il legittimo percettore, ma a un’associazione composta da Di Pietro, sua moglie Susanna Mazzoleni e Silvana Mura, tesoriere del partito. La seconda vicenda riguarda invece i soldi donati nel 1995 dalla contessa Borletti a Di Pietro e a Romano Prodi, che sarebbero stati utilizzati da Di Pietro per scopi personali. La storia, nota da tempo, è stata giustificata dallo stesso Di Pietro col fatto che si trattava di una donazione personale, poichè avvenne «prima che io mi mettessi a fare politica». L’ultima questione analizzata dal servizio riguarda la crescita esponenziale del numero di proprietà immobiliari, giustificata con i numerosi risarcimenti danni ottenuti da Di Pietro in sede civile per le diffamazioni subite.
Martedì, due giorni dopo la trasmissione dell’inchiesta di Report, Di Pietro ha convocato l’ufficio di presidenza dell’Italia dei Valori, proponendo addirittura lo scioglimento immediato del partito. Il suo gruppo dirigente ha bocciato la proposta, ribadendo la fiducia al suo leader, e ha approvato un documento in cui viene annunciato un congresso per la primavera del 2013, di fatto rinviando la questione a dopo le elezioni politiche. Massimo Donadi, che già da tempo chiede un processo di rinnovamento, aveva chiesto un congresso straordinario prima delle elezioni, ma il gruppo dirigente ha deciso di indire soltanto un’assemblea generale per dicembre, occasione in cui verranno riviste le regole sulle candidature, sulla trasparenza e sul rilancio dei referendum.
La puntata di Report è solo l’ultimo dei casi che negli ultimi tempi hanno messo in questione la credibilità dell’IdV e di Di Pietro, a partire dalle candidature al Parlamento di Sergio De Gregorio, Antonio Razzi e Domenico Scilipoti, fuoriusciti dal partito e passati al centrodestra tra molte polemiche, fino ai casi giudiziari più recenti che hanno coinvolto diversi esponenti del partito a livello locale: le inchieste sui due consiglieri regionali Vincenzo Maruccio nel Lazio e Paolo Nanni in Emilia Romagna, entrambi indagati per peculato, e l’indagine sulla ex vicepresidente e assessore all’Urbanistica della regione Liguria Marylin Fusco, accusata di abuso d’ufficio e reati ambientali nell’ambito dell’inchiesta sulla realizzazione del porto di Ospedaletti, in provincia di Imperia. Dal punto di vista elettorale le cose non vanno meglio: in Sicilia il partito non ha superato lo sbarramento del 5 per cento e non ha ottenuto quindi nessun seggio in assemblea regionale.