Il Gattopardo e la Sicilia
Da dove viene la frase sul cambiamento che viene citata ogni volta che si parla della politica siciliana e nazionale
Il Gattopardo è un romanzo pubblicato nel 1958 dalla casa editrice Feltrinelli, un anno dopo la morte del suo autore: racconta la storia di un rappresentante della grande nobiltà siciliana, don Fabrizio principe di Salina, e della lenta decadenza della sua classe sociale negli anni in cui la Sicilia viene annessa al Regno d’Italia (il plebiscito per l’annessione fu nell’ottobre del 1860). Giuseppe Tomasi di Lampedusa (1896-1957), l’autore del romanzo, era lui stesso un nobile: principe di Lampedusa, appunto.
In questi giorni in cui si parla di Sicilia è tornata ad essere molto citata una delle frasi più celebri del romanzo, tratta dal primo capitolo:
«Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi»
Il brano più esteso è una conversazione tra il protagonista del romanzo, il nobile siciliano don Fabrizio principe di Salina, e suo nipote Tancredi Falconeri, che sta partendo per unirsi ai garibaldini da poco sbarcati in Sicilia e che pronuncia la frase:
«Si preparano grandi cose, zione, ed io non voglio restarmene a casa, dove, del resto, mi acchiapperebbero subito, se vi restassi.» Il Principe ebbe una delle sue visioni improvvise: una crudele scena di guerriglia, schioppettate nei boschi, ed il suo Tancredi per terra, sbudellato come quel disgraziato soldato. «Sei pazzo, figlio mio! Andare a mettersi con quella gente! Sono tutti mafiosi e imbroglioni. Un Falconeri dev’essere con noi, per il Re.» Gli occhi ripresero a sorridere. «Per il Re, certo, ma per quale Re?» Il ragazzo ebbe una delle sue crisi di serietà che lo rendevano impenetrabile e caro. «Se non ci siamo anche noi, quelli ti combinano la repubblica. Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi. Mi sono spiegato?» Abbracciò lo zio un po’ commosso. «Arrivederci a presto, Ritornerò col tricolore.»
Il “disgraziato soldato” a cui si fa riferimento è il cadavere di un soldato che viene ritrovato in un angolo del giardino e che rimane per tutto il romanzo come un presagio di morte per il Principe. La frase è pronunciata nel romanzo da una prospettiva particolare: quella della classe nobiliare che è aggrappata ai propri privilegi e ha la speranza che l’annessione al Regno d’Italia non modifichi la sostanza delle cose.
Il concetto del «se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi» viene espresso più volte nel corso del romanzo e in particolare quando don Fabrizio prova a riassumere l’essenza dell’essere siciliani: il lungo dialogo con l’inviato dei Savoia in Sicilia (alla fine del capitolo IV) ad esempio, contiene parecchie frasi altrettanto memorabili e che esprimono concetti simili: «il peccato che noi Siciliani non perdoniamo mai è semplicemente quello di “fare”», oppure «i Siciliani non vorranno mai migliorare per la semplice ragione che credono di essere perfetti».
Il romanzo, proprio per quel concetto cinico e pessimista, ha dato alla lingua italiana due nuove parole, spiegate dal dizionario Devoto-Oli: un aggettivo, gattopardesco, ovvero “tipico di un immobilismo ammantato di signorilità, come quello del protagonista del romanzo Il Gattopardo di G. Tomasi di Lampedusa”, e il sostantivo gattopardismo, “teorica disponibilità a innovazioni e cambiamenti, specialmente politici, nella consapevolezza che la continuità prevarrà sul rinnovamento”. Parole usatissime nell’informazione contemporanea, in generalizzazioni adattabili ai contesti più vari: e naturalmente ancora di più quando si parla di Sicilia.
Il gattopardo è propriamente un animale, un grosso gatto diffuso in Africa dal nome scientifico Felis serval, detto anche servale. È anche un altro nome di un animale simile americano, a volte chiamato ocelotto. Nel romanzo, il gattopardo è l’animale raffigurato sullo stemma di famiglia (e su quello della stessa famiglia nobiliare dell’autore, i Tomasi).