I guai di Starbucks nel Regno Unito
È accusata di non aver pagato un sacco di tasse: rischia il boicottaggio e soprattutto un pesante contraccolpo per la sua immagine
di Davide Maria De Luca
Il Financial Times scrive che la catena di caffetterie Starbucks sta per subire una catastrofe di immagine per via di un’accusa di elusione fiscale. Una campagna nata sui social network, a cui hanno contribuito leader politici e sindacalisti, ha invitato i britannici a boicottare la catena, mentre alcuni deputati hanno richiesto una commissione per indagare sulla situazione fiscale dell’azienda.
Il caso è cominciato lunedì scorso, quando l’agenzia di stampa Reuters ha pubblicato un’inchiesta in cui raccontava come Starbucks in 14 anni di attività nel Regno Unito, grazie a una serie di detrazioni, sia riuscita a pagare soltanto 8,6 milioni di sterline di tasse sui profitti a fronte di un fatturato di quasi 3 miliardi. Secondo Reuters l’azienda non ha fatto nulla di illegale: da circa 14 anni Starbucks UK – cioè la divisione britannica della catena – risulta in perdita o a malapena in pari, quindi non ha dovuto pagare tasse sui profitti.
La contraddizione, secondo l’agenzia di stampa, sta nel fatto che mentre nei dati presenti sui libri contabili non apparivano guadagni, nelle conversazioni con gli investitori e nelle relazioni interne all’azienda quello britannico era definito dall’azienda un modello profittevole e di successo, da utilizzare anche negli Stati Uniti. Non solo: in un altro report veniva detto che, grazie ai guadagni della divisione britannica, Starbucks stava finanziando la sua espansione in altri mercati.
Secondo il Financial Times questa contraddizione, che lascia intuire qualche sorta di “trucco” operato da Starbucks per evitare di pagare le tasse, causerà un enorme danno di immagine alla compagnia. Al momento, afferma un esperto intervistato da FT, la tolleranza del pubblico per quanto riguarda l’avidità delle grandi società è bassissima. Alcuni deputati britannici hanno subito invitato a boicottare i negozi della catena, mentre durante le proteste di questi giorni a Londra contro le misure di austerità diversi manifestanti sono stati fotografati mentre protestavano davanti alle vetrine di Starbucks.
La questione però è davvero complicata, come quasi sempre sono i casi di evasione – o elusione – fiscale delle grandi imprese: le multinazionali non possono semplicemente riempire delle valigie di soldi e nasconderle in Svizzera. Le regole che riguardano l’imposizione fiscale sono complesse e lo sono ancora di più quando devono regolare multinazionali composte da diverse società che hanno sede in paesi con regimi fiscali differenti. Il lavoro degli esperti delle aziende è proprio trovare la maniera, sfruttando questi regolamenti, per pagare meno imposte senza violare la legge, ma andandoci a volte molto vicino.
Intanto le tasse che Starbucks non avrebbe praticamente pagato sono soltanto le imposte sui profitti. Ci sono tutta un’altra serie di imposte invece che l’azienda ha versato normalmente. Soltanto negli ultimi tre anni, l’azienda ha pagato per i suoi 735 negozi e 8.500 operai circa 160 milioni di sterline sotto forma di tasse, imposte e contributi. Starbucks ha anche dovuto affrontare spese molto grandi negli scorsi anni, soprattutto a causa di una guerra al rialzo con una catena di caffetterie rivali per assicurarsi le prime location, cioè i posti migliori dove aprire l’esercizio.
Il punto, come specificava l’autore dell’inchiesta di Reuters, è solo uno: Starbucks negli ultimi 14 anni nel Regno Unito è riuscita o no a fare profitti? Secondo gli esperti intervistati da FT sembrerebbe di no. Prima di tutto la parola “profittabilità” utilizzata nelle relazioni con gli azionisti citate da Reuters era utilizzata nell’accezione americana, luogo dove è registrata la sede centrale della compagnia: cioè non guadagni netti, come si intende in Europa, ma guadagni prima dei pagamenti sugli interessi e le royalties. Senza royalties e interessi, Starbucks guadagnava, ma una volta sottratti al conto questi due costi, risultava in perdita.
Ma cosa sono le royalties? Si tratta di un 6% sul fatturato che Starbucks UK deve pagare alla società madre, Starbucks Europe, che ha sede ad Amsterdam, per l’utilizzo del marchio e dei processi di produzione. Nel 2007, ad esempio, se Starbucks UK non avesse dovuto pagare quel 6% di royalties sarebbe stata profittevole anche in senso “europeo”. I critici sostengono che caricare dei costi – come ad esempio quello per la licenza di un marchio – su aziende che hanno sede in paesi con una fiscalità vantaggiosa (come l’Olanda) è una delle strategie più utilizzate dalle multinazionali per pagare meno tasse, anche se formalmente del tutto legale.
Foto: AP Photo/Matt Dunham