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  • Venerdì 19 ottobre 2012

La prima condanna per i crolli nel terremoto dell’Aquila

Un ingegnere è stato condannato a tre anni in primo grado per il crollo di una palazzina in cui morì anche sua figlia

© LaPresse
08-04-2009
interni
terremoto in abruzzo

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08-04-2009
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terremoto in abruzzo

Il Tribunale dell’Aquila ha emesso la prima condanna su uno dei crolli che si sono verificati durante il terremoto in Abruzzo nel 2009. L’ingegnere Diego De Angelis, direttore dei lavori della ristrutturazione di una palazzina in via Francesco Rossi, è stato condannato a tre anni di reclusione e a cinque di interdizione dai pubblici uffici per omicidio colposo plurimo e disastro colposo: il restauro, secondo la procura, ha provocato un appesantimento del tetto che ha contribuito al crollo in cui, la notte del 5 aprile, morirono 20 persone. Tra le persone morte, tra l’altro, ci fu sua figlia.

La prima sentenza su una delle venti palazzine killer del terremoto dell’Aquila è una condanna. Tre anni di reclusione e cinque anni di interdizione dai pubblici uffici per Diego De Angelis, ingegnere e direttore dei lavori dell’edificio di via generale Francesco Rossi. Si tratta di una condanna per omicidio colposo plurimo e disastro colposo. Lo ha deciso il giudice Giuseppe Romano Scarsella.

In quel crollo morirono 20 persone tra cui la figlia della stesso De Angelis, Jenny (26 anni). Subito dopo la sentenza, il pubblico ministero Fabio Picuti, che ha chiesto e ottenuto la condanna, ha preso tra le mani il volto del condannato per consolarlo. “L’importanza di questo processo è culturale”, ha detto Picuti in aula durante l’ultima arringa. “De Angelis è stato onestissimo, per lui ho la più grande ammirazione. Gli volevo suggerire la risposta durante il suo interrogatorio – ha ammesso il pm in aula – dimmi che hai fatto la verifica strutturale e non l’hai depositata. Oppure dimmi che non l’abbiamo saputo trovarla. Se mi avesse risposto così signor giudice le assicuro che avrei chiesto l’assoluzione, ma De Angelis non se l’è sentita di mentire. E io l’ammiro. Però dicendo la verità ha dato la piena validità del capo d’imputazione”.

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