“Monti può passare alla storia in due modi”
Il governo deve decidere se limitarsi a evitare il baratro, come fatto finora, oppure cambiare l'Italia, scrivono Alesina e Giavazzi sul Corriere
Gli economisti Alberto Alesina e Francesco Giavazzi scrivono oggi un articolo sul Corriere della Sera con cui commentano le azioni portate avanti fin qui dal governo Monti e lo invitano a cambiare rotta, nei mesi che restano di questa legislatura: soprattutto per quel che riguarda la politica fiscale.
Le manovre varate negli ultimi 12 mesi, prima dal governo Berlusconi e poi dal governo Monti, si possono così riassumere (prendiamo questi numeri dall’Audizione parlamentare del vicedirettore generale della Banca d’Italia, Salvatore Rossi): nell’arco di due anni, 2012 e 2013, le entrate delle amministrazioni pubbliche dovrebbero crescere di 82 miliardi, le spese scendere di 43. Di questi tagli, tuttavia, circa 23 miliardi sono minori trasferimenti a Comuni, Province e Regioni. Se questi enti, come sta accadendo, compenseranno la riduzione dei fondi che ricevono dallo Stato aumentando le tasse locali, il risultato complessivo di queste manovre sarà 105 miliardi di maggiori tasse e 20 di minori spese.
L’esperienza delle correzioni dei conti pubblici attuate negli ultimi 30 anni nei Paesi industriali ci insegna che questa composizione è recessiva. L’aumento della pressione fiscale sposterà ancor più in là la ripresa dell’economia e limiterà il miglioramento dei conti pubblici. Invece le manovre che hanno avuto minori effetti recessivi, e che quindi hanno ridotto più rapidamente il debito, sono state quelle con una composizione opposta rispetto alla nostra: tagli di spesa e minori aggravi fiscali.
Se ci limitiamo al caso italiano, l’esperienza degli ultimi 30 anni insegna che le manovre per lo più costruite su tagli di spesa (le poche che sono state fatte) hanno inciso sull’economia in misura trascurabile. Invece quelle attuate per lo più aumentando le imposte hanno avuto un «moltiplicatore» pari a circa 1,5: cioè per ogni punto di Pil (Prodotto interno lordo) di correzione dei conti l’economia si è contratta, nel giro di un paio d’anni, di un punto e mezzo.
Ci rendiamo conto che sotto la pressione dello spread il governo Monti doveva agire in fretta e che (purtroppo) è sempre più facile e rapido alzare le tasse. Ed è anche vero che le nuove imposte introdotte lo scorso inverno (l’Imu sulle case, la tassazione delle rendite finanziarie, gli aggravi fiscali che hanno colpito società finanziarie ed energetiche) sono fra le meno dannose per l’economia. E che circa 7 di quei 105 miliardi verranno da un’azione più risoluta contro gli evasori, che per la prima volta sembra funzionare. Ma alla fase uno doveva seguire una fase due: tagli di spesa in misura sufficiente a consentire una riduzione delle aliquote. E invece, a un anno di distanza, non si è neppure riusciti ad evitare un aumento dell’Iva che annullerà, soprattutto per le famiglie con reddito più basso, i benefici del timido taglio delle aliquote Irpef (vedi i calcoli riportati in www.paolomanasse.blogspot.it ).