Vita e opere di Roberto Formigoni
Da dove viene l'uomo che da quasi vent'anni - e per quanto ancora? - governa la regione più ricca d'Italia
di Emanuele Menietti – @emenietti
Roberto Formigoni è nato a Lecco il 30 marzo del 1947. Il padre, Emilio, era un ingegnere civile, dirigeva un cementificio e durante il Ventennio aveva aderito al fascismo, secondo il figlio perché all’epoca fascisti “lo erano tutti”. Primo di tre fratelli, frequentò le scuole a Lecco fino alla maturità classica, poi si trasferì a Milano per iniziare gli studi in filosofia. A 24 anni conseguì la laurea presso l’Università del Sacro Cuore e successivamente partì per Parigi per studiare Economia politica alla Sorbona.
Erano gli anni della contestazione, ma Formigoni sembrava essere più interessato alla scoperta della propria fede. Incontrò don Luigi Giussani e decise di entrare a far parte della sua Gioventù Studentesca, il movimento religioso che avrebbe proprio in quegli anni portato alla nascita di Comunione e Liberazione. Formigoni fu colpito dal pensiero di Giussani, secondo il quale la realtà fornisce gli elementi necessari per verificare la presenza di Gesù in ogni essere umano. La stretta vicinanza con CL è stata alla base di numerose critiche in questi anni nei confronti di Formigoni, che del resto non ha mai fatto mistero di privilegiare particolari ambienti, anche in politica.
Un anno prima di laurearsi a Milano, Formigoni entrò a far parte dei Memores Domini, l’associazione laicale cattolica che segue quanto suggerito nel Vangelo su povertà, castità e obbedienza. Decidere di entrare a far parte dei Memores Domini non fu semplice, come racconta lo stesso Formigoni:
Vivevo, come ho già detto più volte, l’esperienza del movimento di Gioventù Studentesca e conoscevo personalmente alcuni che avevano fatto quella che sarebbe stata la mia scelta. Lentamente, quasi inavvertitamente, si fece strada nello scenario del futuro anche questa, tra le altre possibilità. Determinante fu poi il rapporto con un amico più grande, con un sacerdote che mi fece capire che quella scelta di vita potesse essermi chiesta dal Padre Eterno. […] Non si deve pensare che sia stata una cosa tranquilla; non si deve pensare che dentro di me non vi siano state anche ribellioni, che più di una volta non abbia cercato di fuggire. Ma se ripenso alla mia storia, alla mia vita fino adesso, mi accorgo che il Padre Eterno mi ha sempre fatto la grazia di starmi molto vicino.
Allo studio e alla religione, Formigoni affiancò presto anche l’attività politica. A fine maggio del 1975 fondò insieme con alcuni amici di CL il Movimento Popolare, uno dei primi tentativi di appartenenti a Comunione e Liberazione di darsi da fare in politica. Il Movimento partecipò alle amministrative dello stesso anno, ottenendo un discreto risultato e l’elezione di cinque suoi membri al comune di Milano. Formigoni rimase alla presidenza nazionale del Movimento fino al 1987, intensificando i propri rapporti politici con la Democrazia Cristiana. Il Movimento Popolare si sciolse poi dopo il caos di Tangentopoli.
La prima importante elezione di rilievo per Roberto Formigoni arrivò nel 1984, quando con 450mila preferenze divenne il primo degli eletti nelle liste della DC per il Parlamento europeo. Tre anni dopo fu nominato vicepresidente del Parlamento europeo e nello stesso anno fu eletto per la prima volta alla Camera. Entrò a far parte della Commissione affari esteri e nel 1990 ebbe un momento di discreta notorietà partecipando alla spedizione di una delegazione di parlamentari a Baghdad, in Iraq, per ottenere da Saddam Hussein la liberazione di alcune centinaia di ostaggi italiani ed europei.
Formigoni passò sostanzialmente indenne attraverso le inchieste giudiziarie di Mani Pulite e Tangentopoli, che portarono a un profondo stravolgimento del sistema politico in Lombardia. Nel 1992 fu nuovamente eletto in Parlamento e tra il ’93 e il ’94 fece parte del governo Ciampi come sottosegretario all’Ambiente, cosa che lo indusse a lasciare infine il Parlamento europeo. Alle elezioni successive fu eletto nel Partito Popolare Italiano (PPI), frutto della trasformazione della DC, e aderì alla corrente moderata del partito guidata da Rocco Buttiglione.
Il sistema politico era ancora molto instabile e frammentato dopo la stagione delle inchieste giudiziarie. Buttiglione nel 1995 fondò i Cristiani Democratici Uniti (CDU), che ebbero come presidente del partito Formigoni a partire dall’anno seguente. Le strade di Buttiglione e Formigoni si separarono nel 1998, quando il primo decise di aderire al progetto dell’UDR (Unione Democratica per la Repubblica), spingendo il secondo a separarsi dalla CDU per formare i Cristiani Democratici per la Libertà (CDL), che sarebbero poi confluiti in Forza Italia.
La separazione con Buttiglione non fu semplice, ma Formigoni all’epoca aveva dalla sua la recente elezione alla presidenza della Regione Lombardia. Era avvenuta nel giugno del 1995, grazie a un accordo con Forza Italia e con i partiti di centrodestra che aderivano al Polo per la Libertà. Formigoni tenne il suo primo discorso da presidente il 27 giugno, annunciato con un lapsus dal presidente del Consiglio regionale che lo chiamò «Roberto Arrigoni». Alle critiche sul fatto di essere stato eletto con meno del 40 per cento dei voti (grazie al sistema maggioritario), Formigoni rispose ricordando che «Clinton governa con il 25 per cento dei voti degli americani, Eltsin con il 40 per cento dei consensi dei russi, Major con il sostegno di meno della metà degli inglesi, e così via».
Alle regionali del 2000 Formigoni ottenne il suo secondo mandato in Regione, anche grazie all’alleanza con la Lega Nord. Sconfisse il suo principale avversario, Mino Martinazzoli, ottenendo oltre il 60 per cento dei voti. Dopo l’elezione disse poco elegantemente del suo avversario che non era «mai esistito» durante la campagna elettorale e che avrebbe governato con «fortissimi poteri di indirizzo», assicurando la lealtà della Lega Nord per tutti i cinque anni di governo regionale. E in effetti fu così: la Lega entrò a far parte definitivamente di quello che in molti chiamano il “sistema Lombardia” di Formigoni, diventando fino alle vicende di questi giorni il partner più affidabile a sostegno del governatore.
Durante il suo secondo mandato Formigoni si impelagò nel controverso progetto dei “buoni scuola”, finanziamenti concessi alle famiglie per il pagamento delle rette scolastiche a tutela della “libertà di educazione”. I buoni sono stati spesso al centro di feroci critiche, perché secondo i detrattori del sistema a beneficiarne sono quasi esclusivamente le scuole private, molte delle quali rette da enti confessionali. Il sistema, dicono, non ha inoltre portato a benefici misurabili nella qualità dell’istruzione in Lombardia. Non sono mancate anche critiche dirette nei confronti di Formigoni, vicino agli ambienti confessionali, che tra le altre cose si occupano anche di istruzione privata.
Formigoni ebbe qualche guaio giudiziario nel corso del suo secondo mandato. Nel 2002 fu rinviato a giudizio nell’ambito di una inchiesta sulla bonifica di una discarica. La vicenda fece molto scalpore, ma il presidente non si dimise e tre anni dopo fu assolto in primo grado dalle accuse. Due anni dopo fu definitivamente assolto da ogni accusa durante il processo di appello.
I problemi giudiziari non gli impedirono comunque di vincere le elezioni nel 2005, ottenendo il terzo mandato in Regione. Ottenne oltre il 53 per cento dei voti, battendo con la sua coalizione di centrodestra il candidato dell’Unione Riccardo Sarfatti. Anche in quel caso commentò elegantemente la sconfitta del centrosinistra, molto meno marcata rispetto a cinque anni prima: «È imbarazzante la posizione di chi pensava di essere travolto da un tram e si accontenta di essere stato messo sotto da una moto. Auguro alla sinistra 100 volte questo scampato pericolo: perché significa che continuo a vincere io».
Il centrodestra a quelle amministrative non era andato bene e Formigoni sapeva di aver portato a casa il risultato soprattutto per merito suo. Sapeva anche che avrebbe potuto fare di meglio, se Forza Italia gli avesse consentito di fare una propria lista, come aveva proposto. Guardando a quanto accaduto negli anni seguenti, viene da pensare che dopo quell’elezione al terzo mandato qualcosa scattò in lui: già molto sicuro di sé, acquisì nuova sicurezza, diventando più spregiudicato. Non necessariamente un delirio di onnipotenza, come hanno detto spesso i suoi detrattori, anche se l’avvio di opere faraoniche come la costruzione di un nuovo grattacielo per la Regione a Milano aiutano a farsi meglio l’idea.
A lungo si parlò, nella fase finale del secondo governo Berlusconi, di un suo possibile incarico da ministro nel corso di un rimpasto, ma non se ne fece mai nulla. Così come a lungo si è parlato di lui come possibile successore di Berlusconi alla guida nazionale del centrodestra, e forse queste voci hanno contribuito al progressivo raffreddarsi dei rapporti tra i due. Nel 2006 Formigoni si candidò alle politiche facendosi eleggere al Senato con Forza Italia, incarico che lasciò dopo tre mesi. Alle politiche del 2008 ottenne nuovamente l’elezione a senatore con il Popolo della Libertà, ma non trovando incarichi di rilievo a livello nazionale lasciò perdere anche questa volta, dimettendosi dopo poco dall’incarico e continuando il proprio impegno in Lombardia. Due anni più tardi arrivò l’elezione per la quarta volta consecutiva alla presidenza della Regione.
Quella del 2010 è stata l’elezione più controversa per Formigoni e quella che ha mostrato con maggiore efficacia la spregiudicatezza del personaggio, nel bene e nel male (a seconda di come la si vuole vedere). Furono presentati esposti e ricorsi contro la sua candidatura, che secondo politici e giuristi non era in regola con la legge nazionale sul numero massimo di mandati consecutivi, ma a elezioni avvenute il tribunale di Milano confermò comunque l’elezione, perché la Lombardia non aveva mai recepito nel proprio ordinamento la normativa. Ci furono anche contestazioni sulle firme raccolte per la presentazione della lista “Per la Lombardia” di Formigoni, che portarono a procedimenti ancora in corso e a una causa di diffamazione contro i Radicali, finita oggi con una condanna per Formigoni a risarcire questi ultimi con 100mila euro.
I dubbi sulla sua eleggibilità e sull’autenticità delle firme non hanno avuto particolari conseguenze sulla presidenza Formigoni, che si è continuata a rafforzare in questi anni, anche grazie al sistema di potere creato in oltre quindici anni in Giunta. Formigoni è stato spesso accusato di aver distribuito incarichi a particolari gruppi di persone, una sorta di clientelismo orientato principalmente verso gli esponenti di Comunione e Liberazione, con particolare attenzione al suo braccio economico, la Compagnia delle Opere. Sono critiche ricorrenti, cui Formigoni ha risposto più volte con smentite, con gli elenchi degli incarichi affidati e con la rivendicazione dei risultati ottenuti dal suo governo, soprattutto relativamente alla qualità del sistema sanitario.
Ma proprio da questo stretto rapporto con gli ambienti di CL e dal settore della sanità è nato il caso giudiziario più difficile per Formigoni, indagato per corruzione in concorso con l’amico Pierangelo Daccò nell’ambito di una inchiesta sulla sanità privata in Lombardia. Tra le altre cose, si ipotizza che Daccò concedesse al presidente della Regione diversi benefit (vacanze, soggiorni, cene) ottenendo in cambio delibere regionali a favore di strutture sanitarie private, come la fondazione Maugeri alla quale Daccò aveva fatto da consulente. Formigoni ha sempre respinto le accuse, dicendo di avere fiducia nella magistratura e di non avere alcuna intenzione di dimettersi per questa vicenda.
Il problema per Formigoni è che negli ultimi mesi ha iniziato a sgretolarsi il sistema messo in piedi sotto la sua guida in questi anni in Regione. Nel Consiglio regionale ci sono tredici persone indagate per varie vicende, dall’acquisto di voti con infiltrazioni della criminalità organizzata alla corruzione, passando per il traffico illecito di rifiuti. L’eccellente sistema amministrativo lombardo di cui parla Formigoni mostra ormai crepe vistose, ma il suo artefice si ostina a definire tutte le vicende come singoli casi personali, che non hanno nulla a che vedere con la Regione, benché interessino persone con incarichi istituzionali di vario livello. Una contraddizione sempre più evidente, che potrebbe avere altre serie conseguenze per Formigoni e la sua carriera politica.
Il presidente della Regione Lombardia in questi mesi ha minimizzato in ogni occasione i problemi giudiziari che coinvolgono consiglieri e assessori. Lo ha fatto sui giornali, in televisione, alla radio e sui social network, dove è particolarmente attivo con un suo account Twitter. Capace di criticare i privilegi della politica facendosi inquadrare a Porto Cervo con gli yacht sullo sfondo, è stato accusato da molti di aver perso il contatto con la realtà, di essersi creato una bolla per proteggersi dagli attacchi, uno spazio artificiale posticcio come il set dove registra i suoi Forcaffè, la videorubrica settimanale su YouTube in cui parla di politica e massimi sistemi preparando un caffè che offre poi regolarmente ai suoi immaginari spettatori. O almeno, a quelli che gli restano.