Prodi sarà l’inviato dell’ONU nel Sahel
Per monitorare la situazione nella zona subsahariana e soprattutto nel Mali, dopo il colpo di stato dello scorso marzo
Ban Ki-moon, il segretario generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), ha scelto Romano Prodi come inviato delle Nazioni Unite nel Sahel, l’ampia regione a sud del Sahara, in Africa. Ban Ki-moon ha inviato una lettera a Gert Rosenthal, il presidente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni (UNSC), per comunicare la sua decisione e informare i quindici membri del Consiglio: la sua scelta sarà approvata, se non verranno presentate obiezioni da parte dei membri del Consiglio entro le 10 di martedì prossimo.
L’obbiettivo di Prodi, 73 anni, ex presidente del Consiglio ed ex presidente della Commissione Europea, sarà soprattutto quello di monitorare gli sviluppi nello stato del Mali, in cui, dopo un colpo di stato del 21 marzo scorso, si è intensificata la presenza e le attività dell’organizzazione terroristica al-Qaida nel Maghreb islamico (AQMI) ed è in corso una guerra civile: il nord del paese ha proclamato l’indipendenza ed è controllato da gruppi armati di orientamento diverso, dalle milizie tuareg a gruppi fondamentalisti islamici.
Il colpo di stato è nato con il tentativo da parte di alcuni ribelli dell’esercito maliano di rovesciare il regime di Amadou Toumani Touré. Il 21 marzo scorso, i soldati ribelli hanno attaccato diverse località della capitale Bamako: il palazzo presidenziale, la sede della televisione di Stato e alcune caserme militari. E hanno formato il Comitato Nazionale per il ripristino della democrazia e il risanamento dello stato (CNRDRE) in Mali. Prima del colpo di stato, ci furono molte manifestazioni di protesta per il mancato appoggio del governo ai militari, poco armati e male diretti, nella loro battaglia contro i ribelli.
I militari golpisti hanno sciolto il Parlamento e sospeso la Costituzione. Oltre al colpo di stato, nella regione è iniziata anche una ribellione dei tuareg, una popolazione berbera e nomade, e si è intensificata la presenza di gruppi islamisti armati vicini ad al Qaida. Da marzo, i ribelli tuareg hanno controllato sempre più zone, fino ad arrivare a gestire gran parte del paese. I gruppi vicini ad al Qaida hanno preso il controllo della metà settentrionale del paese, sostituendosi in molte zone ai tuareg stessi, con cui ci sono stati scontri e divisioni. Il movimento tuareg MNLA ha dichiarato l’indipendenza dal Mali dell’Azawad, un’area che copre le province di Gao, Timbuctu e Kidal. Circa 200 mila famiglie hanno iniziato a scappare verso gli stati confinanti.
Ad aprile, la giunta militare che aveva preso il potere ha trovato un accordo con il governo e ha programmato nuove elezioni. L’accordo è stato firmato da Amadou Sanogo, il capo della giunta, e i mediatori della CEDEAO, la Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale. Il gruppo tuareg e gli islamisti vicini ad al Qaida sono entrati in conflitto aperto tra di loro: da una parte c’è l’MNLA, dall’altra il gruppo Ansar Dine, composto dalle milizie di al Qaida nel Maghreb islamico (AQMI) e da altri volontari provenienti dalla Nigeria e dalla Libia.
Nella situazione attuale, la giunta militare e il governo non hanno la forza per riprendere il controllo della zona nord del paese. L’organizzazione africana ECOWAS ha organizzato un piano per un intervento militare in Mali con l’obbiettivo di riprendere il controllo della zona nord, e ha chiesto all’ONU di autorizzarlo. Il Consiglio di sicurezza dell’ONU fino a oggi non ha però preso una decisione, in attesa di un piano preciso e dell’appoggio degli stati membri.
Foto: militari dell’esercito del Mali (AFP/GettyImages)