La storia della guerra dello Yom Kippur
Oggi è l'anniversario di una breve guerra combattuta nel 1973: i protagonisti furono Israele, il padre di Bashar al-Assad, l'Egitto e la crisi economica
di Davide Maria De Luca
Il 6 ottobre 1973 iniziò la cosiddetta guerra dello Yom Kippur, in cui furono coinvolti Siria, Egitto ed Israele. Quella dello Yom Kippur fu la più grande guerra combattuta in Medioriente fino a quella del Golfo e portò a alla crisi petrolifera del 1973, un embargo delle esportazioni di petrolio nei paesi occidentali che aggravò molto la crisi economica che in quegli anni aveva cominciato a colpire Europa e Stati Uniti.
La situazione del Medioriente, seppure molto cambiata da allora, ha alcune cose in comune con quella dell’ottobre del 1973. Negli ultimi mesi Israele ha minacciato sempre più chiaramente di intervenire contro l’Iran, un gesto che secondo tutti gli analisti scatenerebbe una guerra regionale in tutto il Medioriente. Questa crisi porterebbe certamente a una crisi petrolifera, che potrebbe aggravare anche molto l’attuale crisi economica. Anche gli avvenimenti di questi giorni tra la Turchia e la Siria, guidata dal figlio del dittatore che scatenò la guerra nel 1973, minacciano una crisi simile, mentre la nuova leadership egiziana ha raffreddato i suoi rapporti con Israele, che erano migliorati proprio a partire dalla guerra dello Yom Kippur.
Le cause
Alla base del conflitto ci fu uno dei problemi ancora attuali e irrisolti nella questione israeliana, cioè i confini del ’67. Si tratta di quei territori che Israele annetté in seguito alla Guerra dei sei giorni, un attacco preventivo lanciato da Israele contro Egitto, Giordania e Siria nel 1967. In seguito a questa brevissima guerra, Israele conquistò il Sinai, le alture del Golan a nord e la Cisgiordania, cioè quella parte di Giordania a occidente del fiume Giordano e Gerusalemme est (tranne il Sinai e la Cisgiordania sono territori ancora controllati da Israele),
A portare alla guerra, nel 1973, furono Anwar Sadat, dittatore egiziano, da poco succeduto ad Abdel Nasser, e Hafez al-Assad, dittatore siriano, padre dell’attuale dittatore, Bashar al-Assad. Entrambi erano nazionalisti laici, esponenti di quel movimento nazionalista panarabo (cioé basato non sulla religione musulmana, ma sulla comune appartenenze all’etnia araba) che aveva portato a diversi esperimenti, tutti falliti, come la Repubblica Araba Unita (un’unione durata tre anni tra Siria ed Egitto) e poi la Federazione delle Repubbliche Arabe.
Entrambi i paesi si trovavano in una grave situazione economica, osteggiati dalle minoranze religiose interne (in particolare dai Fratelli musulmani in Egitto) e spinti dai ceti più istruiti e nazionalisti, cioè la base del loro consenso, a riprendere i territori sottratti da Israele con la guerra del 1967. Quando, con la conferenza di Oslo, le grandi potenze decisero di mantenere lo status quo in Medioriente, Sadat e Assad presero la decisione di un attacco a sorpresa contro Israele.
La guerra
La data scelte per l’attacco fu il 6 ottobre, giorno dello Yom Kippur, la festività più solenne del calendario ebraico, durante la quale i fedeli devono praticare la preghiera e il digiuno. L’attacco, quasi completamente inaspettato, colse di sorpresa e letteralmente a digiuno tutto l’esercito israeliano, causandogli gravi perdite. Curiosamente, lo Yom Kippur quell’anno coincise con il Ramadan e così anche le truppe siriane ed egiziane erano a digiuno.
L’azione militare inizò alle 14 del 6 ottobre 1973. Quella mattina Golda Meir, primo ministro israeliano, si incontrò con i suoi generali. Fu avvertita che probabilmente entro breve la Siria e l’Egitto, e forse anche la Giordania, avrebbero lanciato un attacco, e le fu chiesto se bisognava applicare il piano previsto per quelle occasioni, cioè lo stesso usato nel ’67: un attacco preventivo su larga scala. Meir rifiutò, dicendo che se avessero attaccato per primi avrebbero perso la possibilità di ottenere aiuti dall’Occidente.
In seguito a quella riunione, venne dato l’ordine di mobilitare parte dell’esercito, ma l’attacco fu comunque una sorpresa quasi perfetta. Da ovest gli egiziani oltrepassarono il canale di Suez che divideva il Sinai occupato dall’Egitto e nel primo giorno di ostilità portarono 100 mila uomini e circa 1500 carriarmati sulla sponda israeliana. Lo stesso successo lo ebbero i siriani, che riuscirono ad occupare le alture del Golan nel primo giorno di combattimenti.
Lo shock per l’intero paese fu così grande che questa settimana il quotidiano israeliano Haaretz ha scritto: «Ogni anno, quando cade lo Yom Kippur, i nostri pensieri non possono fare a meno di andare alla guerra dello Yom Kippur». La popolazione israeliana all’epoca viveva nel mito della capacità dell’esercito (e in particolare della sua aviazione, dotata di moderni aerei americani) di poter fermare, in anticipo qualunque tentativo di invasione. Ma all’epoca l’impianto di missili antiaerei sovietici – i SAM, gli stessi che in Vietnam abbatterono l’aereo dell’ex candidato alla presidenza John McCain – quasi annullò il vantaggio israeliano, costringendo il paese a combattere una sanguinosa guerra di terra.
Soprattutto nei primi giorni, le perdite israeliane furono gravissime. I carriarmati israeliani furono lanciati contro le divisioni egiziane e siriane nel disperato tentativo di rallentarne l’avanzata mentre il resto dell’esercito veniva mobilitato. Moltissimi carristi israeliani furono uccisi dalle nuove armi anticarro sovietiche. Intanto, nelle città israeliane c’erano blackout continui mentre tutti i giorni le sirene suonavano per avvertire dell’arrivo degli aerei egiziani e siriani. Per qualche giorno agli israeliani sembrò che la guerra potesse portare alla sconfitta e, forse, alla fine del loro stato.
Nel giro di una settimana, però, l’esercito israeliano riuscì a riorganizzarsi e a sfruttare la sua superiorità organizzativa e tecnologica. Le alture del Golan vennero riconquistate e il 14 ottobre, dopo una settimana di combattimenti durissimi, alcuni carriarmati israeliani oltrepassarono il canale di Suez entrando in territorio egiziano. Il contrattacco era guidato dal generale Ariel Sharon, che molti anni dopo divenne primo ministro del paese. Fu un evento che in Israele venne celebrato come una festa nazionale. Otto giorni dopo la risoluzione 338 dell’ONU impose il cessate il fuoco. Le ostilità terminarono definitivamente il 28 ottobre, quando ormai le divisioni israeliane erano pronte a puntare sul Cairo.
Le conseguenze
In 22 giorni di combattimento erano morti circa 15 mila soldati, poco più di duemila israeliani, e ne erano stati feriti quasi 40 mila. Nonostante la sconfitta finale, i successi che l’esercito egiziano riportò all’inizio della guerra contribuirono a ridare fiducia ai nazionalisti egiziani, che trattarono la pace da pari con Israele, riuscendo ad ottenere la smilitarizzazione del Sinai. Nonostante la fiducia riacquistata, molti leader arabi si convinsero che Israele non potesse venire battuta militarmente e questo, secondo gli storici, dette un grosso impulso alle trattative di pace.
In particolare, l’Egitto cominciò dopo la guerra a normalizzare i rapporti con Israele e la conclusione del trattato di pace tra le due nazioni nel 1979 portò all’espulsione dell’Egitto dalla Lega Araba, durata fino al 1989. Pochi anni dopo la firma della pace il dittatore egiziano Sadat fu ucciso in un attentato. I paesi produttori di petrolio, in risposta all’aiuto americano concesso ad Israele, cominciarono un embargo verso gli Stati Uniti e molti altri paesi occidentali, che sarebbe durato fino al 1974. Il prezzo del petrolio aumentò del 400% e questo causò la crisi energetica del ’73 che ebbe effetti persino in Italia, segnando la fine (insieme anche ad altre cause) del lungo periodo di rapida crescita economica cominciato negli anni ’50.
Foto: GABRIEL DUVAL/AFP/Getty Images