Lite in famiglia al Foglio
Giuliano Ferrara interviene in una litigata tra Christian Rocca e Massimo Bordin raccontando come andò quella volta del Nigergate e dei loro "grotteschi" appuntamenti col SISMI
Da un paio di giorni i giornalisti Christian Rocca e Massimo Bordin discutono e litigano su Twitter – soprattutto litigano – relativamente a una storia risalente a quasi dieci anni fa: la proposta dei Radicali per dare l’esilio a Saddam Hussein (evitando così la guerra) e il cosiddetto “Nigergate”, cioè la campagna giornalistica di Repubblica – con controcampagna del Foglio – sul presunto acquisto di uranio dal Niger da parte dell’Iraq. Christian Rocca, direttore di IL, è stato tra i fondatori del Foglio, di cui è stato a lungo inviato negli Stati Uniti. Massimo Bordin, storico direttore di Radio Radicale, oggi collabora col Foglio. Giuliano Ferrara, direttore del Foglio, racconta come andarono le cose e invita i due a chiuderla qui, amichevolmente.
Sgradevole lite in famiglia. Protagonisti un vecchio amico dalla fondazione come Christian Rocca, a lungo corrispondente dagli Stati Uniti del Foglio, e un gentiluomo come Massimo Bordin, titolare di un noto e meritato primato radiofonico e di una rubrica quotidiana perfetta su questo giornale. Bordin si è arrabbiato perché Rocca, con il suo caratterino puntuto, gli ha detto che lui e i Radicali, eletta schiera di cui Christian ha fatto parte con amore da ragazzo, non hanno capito niente della famosa affaire detta dell’uranio del Niger. Infatti Bordin rilancia di questi tempi (radio + Twitter) la posizione negoziale di Pannella e soci, avanzata prima della guerra in Iraq, favorevoli com’erano a un esilio contrattato del rais di Baghdad, e in questo quadro tratta male la “banda Pollari”, dal nome del generale capo del controspionaggio militare negli anni zero, uno dei cui bracci operativi era Pio Pompa. Il Sismi fu accusato di essere tra i responsabili di una falsa attribuzione di violazione delle norme internazionali da parte del regime iracheno (appunto il contrabbando di uranio del Niger), sancita da un bellicoso discorso di George W. Bush sullo stato dell’Unione a giustificazione dell’imminente attacco. Al culmine della polemica Bordin dice, più o meno, che Rocca si faceva “addestrare” da Pio Pompa nel famoso “covo” di via Nazionale (un ufficio regolare e riservato del servizio, con molti documenti di Internet e ritagli “incriminanti” di giornali). E Rocca vuole querelarsi contro quella che considera, messa così, un’accusa falsa e diffamatoria. Ahi, ahi.
Posso testimoniare. Rocca stava tra New York e Milano. Scriveva pezzi meravigliosi contro la campagna sull’uranio del Niger, il cosiddetto Nigergate, condotta da Repubblica per la penna di Giuseppe D’Avanzo e Carlo Bonini (il Sismi pro B & B, intesi come Berlusconi e Bush). Rocca menava con precisione e fece rimediare figure non proprio di prima scelta ai suoi e miei idoli polemici (mi spiace che D’Avanzo non ci sia più, e che la polemica lo riguardi indirettamente ora ch’è morto). La fonte di Rocca erano le relazioni ufficiali del Senato americano e delle varie commissioni di inchiesta del Regno Unito sui diversi scandali legati a quella vicenda. Fonti ufficiali, compulsate con capacità di penetrazione analitica dei problemi e intuito notevoli. Il generale Pollari, che non avevo il piacere di conoscere perché l’unico mio contatto operativo con servizi occidentali è quello del 1985 con la Cia, e l’ho raccontato e rivendicato con orgoglio impudente in un noto curriculum, mi chiamò al giornale e si complimentò con i pezzi non firmati di Rocca, aggiungendo che aveva altre cose interessanti da verificare con lui e con me. Accettai di vederlo, com’è ovvio, per corroborare una campagna giornalistica o controcampagna del piccolo giornale contro la corazzata eccetera. Fu lievemente grottesco, il tutto.