Come funzionano le primarie americane?
Sono spesso citate come esempio, quando si parla da noi di regole: ma le differenze sono così tante che forse sarebbe meglio evitarlo
In questi giorni in cui in Italia si parla parecchio di primarie e regole delle primarie, molti citano come esempio le primarie negli Stati Uniti. Su come funzionino le cose là, però, circolano spesso imprecisioni e una certa dose di vaghezza. La prima cosa da sapere a proposito delle primarie americane, infatti, è che ogni stato si fa le sue regole per le sue primarie: quindi ci sono molti modelli diversi, nessuno “ufficiale”, e fare un quadro semplice è impossibile. Le primarie si svolgono anche in date diverse nei 50 stati, in un processo che dura circa sei mesi. Ci sono però alcune regole comuni e alcuni orientamenti generali che ritornano.
Innanzitutto vanno dette alcune cose. Le primarie americane sono regolate da leggi statali e non sono quindi lasciate alla discrezione dei singoli statuti dei partiti, come in Italia: questo vuol dire, per esempio, che i loro risultati sono vincolanti per legge. Il sistema si è affermato lentamente nel corso del Novecento e oggi è utilizzato per un grande numero di cariche, da quelle delle contee alla scelta del candidato presidenziale: per semplicità, ci limiteremo a quest’ultimo caso. Oltre alle elezioni primarie, c’è un altro sistema di selezione dei candidati presidenziali che non passa attraverso una votazione in un seggio, il caucus. Un altro passaggio che bisogna aver chiaro, infatti, è che le primarie presidenziali americane sono elezioni indirette: formalmente si scelgono i delegati alla convention, anche se questi sono spesso obbligati dalla legge a votare per il candidato che ha vinto nelle primarie del loro stato. Il presidente uscente è di solito il candidato “naturale” del suo partito e le sue primarie sono quindi una formalità (infatti quest’anno, per Obama, lo sono state).
Questo è il meccanismo, per così dire, “dall’alto”, ovvero dal punto di vista del presidente. Ma gli elettori? Sono necessarie registrazioni? Chi è iscritto alle liste elettorali come repubblicano può votare alle primarie democratiche? Per spiegare questo punto bisogna fare un’importante premessa, che riguarda il sistema elettorale americano, molto diverso da quelli europei.
In diversi stati europei non votare è un reato, almeno sulla carta, e in passato c’erano meccanismi che sanzionavano chi non andava a votare (la Costituzione italiana definisce il voto un «dovere civico», all’articolo 48). Negli Stati Uniti il voto non è considerato un dovere stringente di ogni cittadino e per esercitare questo diritto è necessaria una registrazione. Con gli anni, per cercare di contrastare la bassa affluenza che questo meccanismo comporta, sono stati introdotti diversi incentivi alla registrazione, permettendola per esempio al momento di fare l’esame per la patente. Al momento della registrazione si esprime solitamente una preferenza politica per un partito o per un altro: e questo – è un punto essenziale per capire tutto il meccanismo – serve proprio per rendere più semplice la partecipazione alle primarie. L’elettore deve iscriversi quindi alle liste a prescindere dalle primarie; e indica il partito per cui simpatizza, che può cambiare quando vuole, per facilitare la partecipazione alle primarie.
Le primarie possono essere fatte in una varietà di modi che rende quasi ogni stato un caso a sè. Non solo, ma le modalità cambiano relativamente spesso di elezione in elezione – con pronunciamenti della Corte Suprema che boccia o approva singole procedure – e quindi gli esempi si riferiscono a quello che è successo più spesso negli ultimi tempi. Oltre a questo, gli stati utilizzano spesso sistemi diversi a seconda della carica da eleggere.
Due cose generali si possono dire: di solito possono partecipare alle primarie americane solo le persone che si sono iscritte nelle liste elettorali – ma in sei stati è permessa l’iscrizione anche il giorno stesso delle elezioni, primarie o elezioni vere e proprie che siano – e di solito si vota lo stesso giorno e nello stesso seggio sia per i democratici che per i repubblicani.
In alcuni stati le primarie ultimamente sono state “chiuse”: in altre parole, possono votare nelle primarie democratiche solo i cittadini iscritti alle liste democratiche (che sono liste pubbliche e ufficiali, depositate presso un’autorità statale). A seconda degli stati, variano i tempi e i modi di registrazione. In alcuni casi bisogna essere nelle liste elettorali un anno prima per partecipare alle primarie, in altri bastano poche settimane.
In un’altra serie di stati, invece, le primarie sono “chiuse ma aperte agli indipendenti”: ovvero, per fare un esempio, alle primarie democratiche del Michigan possono votare tutti gli iscritti nelle liste del partito democratico, più tutti coloro che non sono iscritti (ma sono registrati per il voto). Questi ultimi, gli “indipendenti”, vengono solitamente iscritti al momento del voto per le primarie. Ma anche in questo caso, poi può succedere di tutto: l’iscrizione può venire cancellata subito dopo, automaticamente, oppure può restare a discrezione del votante, oppure può valere per un anno e servire come prerequisito per le primarie successive.
Ci sono poi le primarie “aperte”: l’elettore va al seggio e può votare, potenzialmente, per il partito che vuole. Ovviamente anche in questo caso c’è tutta la gamma delle possibilità, a seconda degli stati: per esempio può dover dichiarare al seggio la scheda che vuole, se del partito democratico o di quello repubblicano – ricordiamo che nello stesso seggio si vota per tutti i partiti – oppure, per non dover dichiarare implicitamente la sua opinione, può ricevere tutte le schede di tutti i partiti e decidere lui nel seggio quale compilare. Questo sistema è l’unico che permette a chi è iscritto a un partito di partecipare alle primarie di un altro. C’è solo un caso celebre in cui questo è avvenuto in massa, in modo organizzato, tra l’altro in un’elezione locale: l’elezione di Fred Tuttle – un agricoltore e attore dilettante senza nessuna esperienza politica – come candidato repubblicano per un seggio al Senato del Vermont nel 1998 (un’elezione senza speranza per i repubblicani, a loro volta divisi al loro interno).
Per dare un’idea della diffusione delle varie tipologie di voto e della loro diffusione, prendiamo per esempio le primarie repubblicane di quest’anno:
– si è votato con il sistema dei caucus (con ulteriori differenziazioni al suo interno) in 16 stati, ovvero, in ordine cronologico: Iowa, Nevada, Colorado, Wyoming, Maine, Washington, Alaska, Idaho, North Dakota, Kansas, Hawaii, Nebraska, Louisiana, Montana, Minnesota e Missouri;
– si è votato con primarie “chiuse” in 14 stati, ovvero, in ordine cronologico: Florida, Arizona, Oklahoma, Maryland, Washington DC, Connecticut, Delaware, New York, Pennsylvania, Oregon, Kentucky, California, New Mexico e South Dakota;
– si è votato con primarie “chiuse ma aperte agli indipendenti” in 8 stati: Massachusetts, Ohio, Illinois, Rhode Island, North Carolina, West Virginia, New Jersey e Utah;
– si è votato con primarie “aperte” nei rimanenti 12 stati (più Porto Rico): New Hampshire, South Carolina, Michigan, Georgia, Tennessee, Vermont, Virginia, Alabama, Mississippi, Wisconsin, Indiana, Arkansas e Texas.
In tutte queste tipologie di primarie, “chiuse” o “aperte” che siano, il singolo elettore può votare solo una volta, cioè partecipare alle primarie di un solo partito. C’è infine un ultimo tipo di elezione primaria, la cosiddetta “primaria coperta” (blanket primary), usata in passato: l’elettore andava al seggio e riceveva una sola scheda con tutti i candidati di tutti i partiti. Questo sistema è stato dichiarato incostituzionale nel 2000.
– Breve storia delle primarie in Italia
Foto: Scott Olson/Getty Images