Che cos’è il “montismo”

Carlo Galli su Repubblica spiega il fascino della "politica come autorità e non come mero potere"

Foto Mauro Scrobogna /LaPresse
16-04-2012 Roma
Politica
Villa Doria Panphili - Il Presidente del Consiglio incontra l’Emiro del Qatar
Nella foto: II Presidente del Consiglio Mario Monti
Photo Mauro Scrobogna /LaPresse
16-04-2012 Roma
Politics
Presidency of the Council of Minister - Italian Prime Minister Mario Monti meets the Emir of Qatar
In the picture: Italian Prime Minister Mario Monti
Foto Mauro Scrobogna /LaPresse 16-04-2012 Roma Politica Villa Doria Panphili - Il Presidente del Consiglio incontra l’Emiro del Qatar Nella foto: II Presidente del Consiglio Mario Monti Photo Mauro Scrobogna /LaPresse 16-04-2012 Roma Politics Presidency of the Council of Minister - Italian Prime Minister Mario Monti meets the Emir of Qatar In the picture: Italian Prime Minister Mario Monti

Carlo Galli, docente universitario, scrive oggi su Repubblica un articolo sul “montismo”, cercando di spiegare il significato e il fascino per la “politica come distanza, come autorevolezza”.

Se da vivi, mentre si gode ottima salute, e dopo un’ancor breve esperienza di potere, dal proprio cognome nasce una corrente di pensiero, o una tendenza politica — un “ismo” — significa che si è entrati nella storia. Non si parla di leninismo o di stalinismo, evidentemente, e neppure di andreottismo — per dare vita al quale Andreotti ha però speso quasi tutta una carriera — , ma dell’assai meno inquietante “montismo”: l’ultimo contributo italiano alla storia del pensiero politico — dopo il machiavellismo, il futurismo, il gramscismo, il fascismo. Di per sé, il montismo vuol essere la trasformazione dell’eccezione in normalità, e quasi in destino (non solo Montibis, ma Monti for ever); è la prosecuzione di Monti — dello stile di Monti, delle finalità di Monti — con altri mezzi o addirittura con lo stesso mezzo: con Monti stesso, cioè; il quale dopo le elezioni dovrebbe essere a capo, o ricoprirvi una posizione dominante, di un governo non più tecnico ma politico (un esecutivo di larghe intese, oppure di maggioranza più limitata).

Montismo si dice in molti modi. Esiste un montismo maggioritario, di massa, che si fonda sull’idea che non deve andare perduta la discontinuità che esso marca rispetto al berlusconismo. Una discontinuità di stili e di tipi umani: da una parte l’industriale brianzolo divenuto tycoon — conservando i tratti plebei del parvenue — ; dall’altra il rappresentante quasi idealtipico della borghesia lombarda dei buoni studi, dei solidi matrimoni, delle vacanze signorili e poco appariscenti, delle professioni liberali, della cultura come habitus.
Una discontinuità che è stata accolta in patria e all’estero con stupore e favore, che è divenuta simbolo positivo di un’altra Italia, credibile e non più pittoresca; lontana dalla prima come il burlesque da un concerto per pianoforte e archi, come la buona educazione dalla cafonaggine, come il loden dalle paillettes.
Una discontinuità fra élites e populismo; non solo fra due stili, quindi, ma fra idee etico-estetiche della politica e della società.

Alla radice di questa discontinuità agisce però una continuità; l’archetipo della politica come autorità, non come mero potere. L’idea, cioè, che la politica sia affare serio, che deve essere gestito da persone serie, autorevoli, che incutono perfino un po’ di soggezione per il loro sapere e per la loro superiorità fondata sulla competenza e sulla saggezza; un’idea elitaria, certo, ma antidemocratica solo se per democrazia si intende la politica che asseconda o provoca la sguaiataggine e la devastazione del costume e del discorso pubblico, che per aderire al “popolo” fa dell’incapacità ad articolare un argomento la propria cifra.

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Tutte le mani di Monti

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