Filippo Penati sarà processato?
La procura di Monza ne ha chiesto il rinvio a giudizio per corruzione, concussione e finanziamento illecito ai partiti
Ieri i pubblici ministeri Walter Mapelli e Franca Macchia della procura di Monza hanno chiesto il rinvio a giudizio di Filippo Penati, sindaco di Sesto San Giovanni dal 1994 al 2002, presidente della provincia di Milano dal 2004 al 2009, ex coordinatore della segreteria di Pier Luigi Bersani al Partito Democratico e, fino al 2011, vicepresidente del Consiglio regionale della Lombardia. La richiesta dei pubblici ministeri riguarda anche una società (la Codelfa del gruppo Gavio) e altre 21 persone, tra cui l’allora capo di gabinetto di Penati, Giordano Vimercati, e l’imprenditore Piero Di Caterina, suo principale accusatore. I pm, che hanno ritenuto di aver raccolto nel corso delle indagini elementi sufficienti a sostenere l’accusa nell’eventuale giudizio, hanno depositato la richiesta nella cancelleria del giudice dell’udienza preliminare (Gup) Giovanni Gerosa, che però non ha ancora fissato una data.
I reati di cui è accusato Penati sono corruzione, concussione e finanziamento illecito ai partiti. L’inchiesta iniziò nel luglio 2011 quando la Guardia di Finanza fece una serie di perquisizioni, tra cui quella nell’ufficio di Filippo Penati a quel tempo vice presidente del Consiglio Regionale della Lombardia. Il giorno dopo Penati si auto-sospese e cinque giorni dopo, il 25 luglio, lasciò ogni carica nel Partito Democratico (da cui sarà poi sospeso) e si dimise dalla vice presidenza del Consiglio.
Le vicende che vedono coinvolto Filippo Penati sono principalmente due. La prima fa riferimento a un’area del comune di Sesto San Giovanni definita “area Falck” o “area ex Falck”, dal nome delle acciaierie che una volta vi avevano sede. Come sindaco di Sesto fino al 2001, Penati secondo le accuse avrebbe favorito alcuni privati e società (tra cui la Caronte srl dell’imprenditore Piero Di Caterina) concedendo permessi edili in cambio di denaro e finanziamenti.
C’è poi una vicenda più ampia che riguarda la cosiddetta “operazione Serravalle”: la provincia di Milano aveva acquistato nel 2005 il 15 per cento della società che possiede l’autostrada A7 Milano-Serravalle dall’imprenditore Marcellino Gavio, azionista di minoranza, facendogli incassare in pochissimo tempo una plusvalenza pari a 179 milioni. L’affare sarebbe stato accompagnato dal versamento di una tangente a favore di Penati e del suo capo di gabinetto, Giordano Vimercati. Anche prima dell’inchiesta la vicenda dell’autostrada Milano-Serravalle era stata molto controversa e discussa. Lo spiega oggi Luigi Ferrarella sul Corriere della Sera:
La seconda corruzione chiama in causa la Codelfa spa del gruppo Gavio guidato dal manager Bruno Binasco, l’intermediazione dell’architetto Renato Sarno, e la travagliata vicenda della «Serravalle-Milano Tangenziali spa» sotto l’egida della Provincia. La Procura descrive un triangolo: Penati, essendo in debito con Di Caterina che aveva finanziato il suo partito per anni, avrebbe indicato a Binasco di versare a Di Caterina una caparra di 2 milioni di euro per l’acquisto simulato di un immobile, in realtà di nessun interesse per la Codelfa, in modo che a caparra scaduta Di Caterina potesse trattenere i soldi. Ma anche il gruppo di Binasco avrebbe avuto il suo vantaggio: una tangente di 68.000 euro a Massimo Di Marco, amministratore delegato della Milano-Serravalle, sarebbe stata il corrispettivo per il riconoscimento alla Codelfa di riserve non dovute sui lavori della terza corsia dell’autostrada A7 e quindi per il relativo indebito pagamento di 18,8milioni di euro pubblici. Qui l’accusa sostiene un arco temporale che va dal dicembre 2008 al dicembre 2010, quindi con prescrizione a metà 2018. Ma un mese fa la Cassazione ha annullato, con rinvio a un nuovo Tribunale del Riesame, il sequestro di 14 milioni della Codelfa (che anche il gip aveva respinto), ritenendo «debba escludersi che gli elementi presi in considerazione possano comunque costituire i gravi indizi richiesti quale presupposto del sequestro preventivo».
(Filippo Penati e la guerra di Serravalle)
Filippo Penati, dopo aver appreso la notizia del rinvio a giudizio, ha detto: «Non ho mai ricevuto illecitamente denaro dagli imprenditori, né per me, né per i partiti di cui ho fatto parte. Non ho conti correnti all’estero. I risultati dell’inchiesta che mi riguarda confermano che non c’è traccia, nonostante si sia favoleggiato di decine di miliardi, di una sola lira o di un solo centesimo di euro che mi sia stato trasferito». Secondo Penati, «dopo due anni di indagini non ci sono novità rilevanti rispetto alle ipotesi accusatorie iniziali. (…) Accuse e fatti, che risalgono a 12 anni fa, e continuano a ruotare solo intorno alle dichiarazioni di due imprenditori, a loro volta indagati, rilasciate per coprire passaggi di denaro tra loro, anche su conti svizzeri o lussemburghesi, poco trasparenti». E, per potersi difendere dalle accuse, ha chiesto il rito immediato.