Com’è fatto il gelato di Grom
Guido Martinetti, cofondatore della popolare catena di gelati, risponde ad alcune critiche sulla produzione e l'uso di additivi
Sul sito “il Fatto Alimentare”, Roberto La Pira ha scritto qualche giorno fa un articolo che descrive la tecnica con cui viene preparato il gelato di Grom, catena di gelaterie di grande successo fondata a Torino nel 2003 e oggi diffusa in 34 città italiane e 5 straniere. La Pira critica l’associazione dell’espressione “gelato artigianale” ai gelati di Grom, commenta l’uso di un additivo “meccanico” e le conseguenze del mancato uso di emulsionanti. All’articolo di La Pira ha risposto oggi Guido Martinetti, uno dei due soci fondatori di Grom.
L’articolo di La Pira:
“Grom: il gelato industriale che diventa artigianale”. Era il titolo di un articolo pubblicato due mesi fa su Il fatto alimentare che ha creato un certo rumore. Il quesito era abbastanza semplice: come ha fatto un’industria con centinaia di dipendenti a diventare la rappresentante del gelato artigianale italiano nel mondo? Qual è il segreto? Il marketing? La pubblicità? Forse tutto ciò, affiancato dalla mancanza di una definizione precisa su cosa si intende per gelato artigianale, e dalla scarsa capacità delle associazioni di categoria di contrapporsi ad un’azienda molto abile nella comunicazione.
Ma questi sono discorsi teorici. A dispetto di ogni logica il gelato di Grom è vissuto nell’immaginario dei consumatori come un vero cono artigianale anche se non è vero. Lo sostengono anche i due manager che gestiscono l’azienda piemontese che parlano sempre di “gelato come una volta”, senza altre precisazioni.
A questo punto bisogna spiegare perché il cono di Grom non è un prodotto artigianale e neppure un prodotto di eccellenza come molti pensano.
– La caratteristica principale del cono artigianale è di essere preparato fresco ogni giorno nel laboratorio annesso al punto vendita. Il gelato di Grom viene elaborato in un centro unico di produzione a Mappano di Caselle (TO) in Piemonte, ed è pensato per essere consumato dopo diversi giorni di stoccaggio. La miscela viene infatti pastorizzata, poi congelata e trasferita nei punti vendita, per essere mantecata prima di finire nel pozzetto del banco frigorifero. Il processo industriale è perfetto ma i diversi passaggi ne compromettono inevitabilmente la struttura.
(continua a leggere sul Fatto Alimentare)
La risposta di Martinetti:
Egregio dott. La Pira,
ho letto con molta attenzione il suo articolo il merito alla nostra attività di produttori di gelato. Non scendo nel merito delle sue opinioni personali circa la qualità del gelato – opinioni che rispetto -, ma desidero fare alcune precisazioni a beneficio dei vostri lettori.
A differenza di quanto lei afferma, il processo che prevede la produzione della miscela nel nostro laboratorio centralizzato di Mappano e la successiva mantecazione in gelateria, non compromette assolutamente la struttura del gelato. Non è questa la sede per specificare tutti i fattori che in realtà vanno a definire tale struttura, ma desidero invitarla fin da ora a visitare una nostra gelateria, in modo che lei stesso possa correggere quanto ha scritto.
Trovo del tutto fuori luogo il paragone con il piatto di spaghetti precotti e la prego di considerare che la sequenza di produzione della miscela liquida, relativa conservazione a temperatura controllata e successiva mantecazione è comune ad ogni gelateria italiana.
(continua a leggere sul Fatto Alimentare)
foto: TIZIANA FABI/AFP/GettyImages