Il ritorno di Shinzo Abe
L'opposizione giapponese ricandiderà l'ex primo ministro nel 2006-2007, che governò tra scandali e fallimenti: l'Economist ha chiamato la scelta "un'aberrazione"
Questa settimana il Partito democratico liberale giapponese (LDP) ha scelto come suo candidato alle elezioni del 2013 il nazionalista Shinzo Abe, già primo ministro per un anno tra il 2006 e il 2007. L’Economist definisce la scelta «un’aberrazione». Il breve mandato di Abe, scrive il settimanale britannico, fu un concentrato di fallimenti politici e personali. Abe si dimise dopo un anno soltanto anche a causa di un problema all’intestino causato dallo stress.
La scelta fatta ha sorpreso molti all’interno dello stesso LDP. Il governo Abe è considerato da molti più o meno direttamente responsabile della prima sconfitta elettorale nella storia del Partito Liberale giapponese, che governò il paese ininterrottamente dal 1955 al 2009 (salvo per una breve pausa di 11 mesi). Attualmente si trova all’opposizione, mentre il governo è guidato dal Partito Democratico del Giappone (DPJ).
Il principale scandalo del governo di Abe fu causato dalle sue dichiarazioni a proposito delle donne cinesi e coreane che durante la seconda guerra mondiale furono costrette a prostituirsi nei bordelli dell’esercito giapponese. Abe dichiarò che la pratica non era mai avvenuta, suscitando le proteste dei governi cinesi e coreani. A queste dichiarazioni si aggiunsero diversi scandali finanziari che coinvolsero membri del suo governo e causarono il suicidio del ministro dell’Agricoltura. Poi si aggiunse anche un problema di salute, che si aggravò dopo una visita di stato in India nell’estate del 2007. Il problema era di natura intestinale, causato dallo stress e, scrive impietosamente l’Economist, «lo costringeva ad andare al bagno tanto spesso che Abe pensò di non essere più in grado di governare».
Il principale e probabilmente unico traguardo del suo breve governo fu il netto miglioramento dei rapporti con la Cina e la Corea: Abe fece due visite ufficiali sia a Seul che a Pechino. Oggi però ha rinnegato quel lavoro diplomatico, e per quanto riguarda le relazioni con la Cina si presenta come un “falco”, nazionalista e aggressivo: secondo l’Economist, la scelta di Abe e del Partito Liberale è sfruttare nelle prossime elezioni il caso delle Senkaku (un gruppo di isole disabitate rivendicate sia dal Giappone che dalla Cina) e cavalcare così l’ondata di nazionalismo che sta colpendo il Giappone.
L’attuale partito di governo, il DPJ, secondo molti commentatori giapponesi è invece privo di un programma condiviso da tutto il partito, a pochi mesi dalle elezioni. La settimana scorsa è stato confermato come presidente del partito e candidato alle prossime elezioni Yoshihiko Noda, l’attuale primo ministro: il terzo da quando, tre anni fa, il DPJ è passato per la prima volta dall’opposizione al governo.
L’elezione è stata favorita dalla fuoriuscita dal partito di 70 delegati che avrebbero dovuto votare al congresso per eleggere il candidato premier. I fuoriusciti sono fedeli all’ex segretario Ichiro Ozawa che a luglio aveva lasciato il partito con altri 49 delegati per via dei dissidi sulle nuove tasse imposte dal governo di Noda.