Un altro Lazio
Adesso non veniteci a dire che si candidano quelli che non hanno voluto o saputo evitare il casino di questi anni
Archiviata – seppur con qualche penoso strascico – la breve esperienza politica di Renata Polverini alla guida del Lazio, ci troviamo in una situazione piuttosto familiare all’Italia di questi anni: disagio e vergogna per quello che si è visto, sentito e saputo; un qualche sollievo per la tardiva e timidissima assunzione di responsabilità e il fatto che si ritorni a votare; disincanto e preoccupazione per quello che potrà accadere dopo che gli elettori del Lazio si saranno scelti un nuovo presidente, una nuova giunta e un nuovo Consiglio, in assenza di ragioni per immaginare miglioramenti.
Stavolta l’ultima sensazione è particolarmente forte, perché la storia di queste settimane si può raccontare da due punti di vista diversi, parzialmente sovrapposti. Si può raccontare la storia di Franco Fiorito, ex capogruppo del Popolo della Libertà al Consiglio regionale del Lazio, accusato di avere utilizzato soldi pubblici per spese private e di avere sottratto almeno un milione di euro da fondi destinati teoricamente alla gestione del “rapporto tra elettore ed eletto” e al “corretto funzionamento dei gruppi consiliari”.
Oppure si può raccontare la storia di un consiglio regionale che, stando alle delibere e ai documenti ufficiali, senza controlli e senza obiezioni, se non quelle dei Radicali, aumentò i fondi destinati ai gruppi consiliari dal milione di euro del gennaio 2010 ai 14 milioni dell’8 novembre 2011. Aumenti decisi all’unanimità dall’ufficio di presidenza del Consiglio regionale, composto da politici di PdL, PD, IdV e UdC. Tutte le volte a fronte del fatto che i soldi non sarebbero stati sufficienti – “la disponibilità attuale non consente di soddisfare le obbligazioni” – e tutte le volte senza che venissero fatte verifiche e chiesti rendiconti su come quei soldi venissero spesi. In altre occasioni simili stanziamenti furono approvati dalla commissione Bilancio e dai suoi membri (PdL, PD, UdC, SEL, IdV, Federazione della Sinistra, La Destra), sempre all’unanimità.
«Non dubito che con quei soldi il PD non abbia fatto festini», ha detto Emma Bonino qualche giorno fa a Repubblica. «Magari avrà fatto concerti di musica classica. Tuttavia, vede, non è una questione – come dire – di eleganza. Il nodo è che i soldi quando arrivano al gruppo vengono utilizzati come fossero di proprietà privata. Sono destinati alle esigenze dei consiglieri, ma non a quelle della comunità. Poi se queste esigenze sono di farsi una biblioteca, pubblicare opuscoli o di ingaggiare escort questo dipende dai gusti che, per definizione, sono personali. Dire “non potevamo darli indietro” è penoso. Potevano. Anzi: dovevano».
Dovevano, e speriamo che le indagini dei magistrati permettano di rintracciare il denaro speso abusivamente. Non basta, però.
La soluzione a quanto accaduto in Lazio non è semplicemente tornare a votare, eleggere una nuova giunta e ricominciare da capo: perché ci sono regole e modi di fare inadeguati e da stravolgere, e perché chi in Lazio era all’opposizione della giunta Polverini si è dimostrato non solo incapace di osservare e denunciare quanto accadeva, bensì attivamente coinvolto nella perpetuazione di un sistema irresponsabile e criminogeno. Nessuno che abbia messo piede nel Consiglio regionale del Lazio in questi anni può pensare di proporsi credibilmente come attore di quel cambiamento. Nessun partito seriamente interessato a “fare pulizia” – per usare un’espressione popolare tra chi dovrebbe esserne destinatario e non soggetto, della pulizia – può accettabilmente candidare persone che hanno già avuto incarichi di governo o di rappresentanza in regione, partecipando di tutto questo.
Questo dovrebbe valere soprattutto per il PD in particolare e per il centrosinistra in generale, che ha esultato per la fine del governo Polverini. Il candidato alla presidenza della regione venga scelto con le primarie, infischiandosene del patto arcaico per cui avendo un candidato ex-DS a sindaco di Roma – Nicola Zingaretti – il candidato alla regione debba essere un ex-Margherita. I candidati consiglieri vengano scelti tra chi non ha mai messo piede in Consiglio regionale. Non è una rottamazione unilaterale, né un taglio lineare: è la prima logica tappa di un altro percorso, come usare un martello per piantare un chiodo invece che un cavatappi.
Poi non sono condizioni sufficienti ad avere istituzioni dignitose gestite in modo dignitoso, ma sono condizioni necessarie. E dopo però discutiamo del resto.
foto: Renata Polverini. (LaPresse)